La presenza monastica nel sito è sicuramente anteriore al 1080, anno in cui “Il conte Berardo figlio di Berardo, conte dei Marsi, donò al monastero di Montecassino il monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta e il castello di Rosciolo con le sue pertinenze” (come documenta il Lubin A., Abbatiarum Italiae brevis notitia, Roma 1693). Subito dopo i Benedettini avviarono la ricostruzione del complesso abbaziale nelle forme che ancora oggi possiamo ammirare; a differenza della chiesa, del monastero non rimane più alcuna traccia. Nonostante l’appartenenza cassinese, la chiesa non riflette lo stile caratteristico che contraddistingue le fondazioni legate più o meno direttamente alla committenza dell’abate Desiderio di Montecassino, interpretando in maniera originale il linguaggio architettonico e decorativo. La facciata a due spioventi è preceduta da un atrio coperto (esonartece) con unica arcata a tutto sesto e con tetto a due falde; nei pilastri laterali due iscrizioni attestano le identità del “benefattore e donatore … Berardo figlio di Berardo” e “dell’illustre Nicolò” che dovette curare la costruzione dell’edificio. Attraverso il portico si raggiunge l’ingresso principale: un portale dalle linee piuttosto semplici in cui spicca la presenza di una graziosa lunetta ogivale, affrescata nel XV secolo con una raffigurazione della Madonna col Bambino tra due Angeli adoranti. Lungo il fianco destro della chiesa è possibile ammirare un piccolo portale, ornato da una formella scolpita raffigurante una Madonna con Bambino benedicente, opera attribuita al maestro Nicolò. Interrompono la cortina muraria un’elegante bifora e due piccole monofore realizzate nel XIV secolo. Degna di nota è poi la decorazione esterna dell’abside, riedificata in forma poligonale nel Duecento ed ornata da semicolonne disposte in tre ordini; delimitano i registri due cornici, lavorate a foglie di acanto e palmette dritte nel primo registro, con semplici modanature nel secondo. Chiude la composizione una teoria di archetti ciechi, alternativamente a pieno centro e trilobi. I capitelli delle semicolonne sono decorati da raffinati motivi vegetali di tipo borgognone; nel secondo ordine fungono da base alle semicolonne dei leoni stilofori che ricordano le scelte compositive adottate a S. Pelino a Corfinio. La chiesa presenta una pianta di tipo basilicale, suddivisa in tre navate da massicci pilastri quadrati e terminante con un’abside semicircolare; tre scalette immettono nel presbiterio, rialzato per via della cripta rettangolare che si sviluppa nello spazio sottostante. I capitelli propongono nella decorazione un rappresentativo repertorio di motivi romanici; cornici “classiche” benedettine, sul modello di S. Liberatore a Maiella, si alternano a girali, palmette, fiori, animali, dal taglio plastico o estremamente stilizzato, in linea con la tradizione figurativa locale. A destra dell’ingresso è posto il sepolcro del maestro Nicolò, con la lapide scolpita dallo stesso artista, lungo la quale un’iscrizione recita “OPUS EST FATUM NICOLAUS Q.IACET HIC”. Un arco gotico, sorretto da colonnine tortili, chiude il sarcofago, ornato da pannelli figurati a rilievo, raffiguranti un Agnus Dei tra due angeli ed un gallo ed una sfinge dal volto umano. Non è più identificabile l’affresco che un tempo ornava il fondo dell’arcosolio. Di grande valore artistico sono poi l’ambone, il ciborio e l’iconostasi. L’ambone di Rosciolo è uno dei più begli esempi di scultura medievale abruzzese (vd. sezione Scultura Medievale, L’Aquila). La struttura in pietra è rivestita dallo stucco, lavorato con sapiente maestria dai magistri Roberto e Nicodemo, che firmano con orgoglio l’opera ricordando l’anno di esecuzione, il 1150. (INGENII CERTUS VARII MULTIQUE ROBERTUS HOC LEVIGARUM NICODEMUS ADQUE DOLARUM; [ANNUS] MILLENUS CENTENUS QUINQUIE DENUS CUM FUIT HOC FACTUM FLUX(IT)/ …EPTEN … VI MENSE HOCTUBER). Roberto di Ruggiero è noto per aver realizzato qualche anno prima il ciborio di S. Clemente a Guardia al Vomano, mentre Nicodemo di Guardiagrele, che compare per la prima volta a Rosciolo, realizza nel 1158 l’ambone della chiesa di Santa Maria del Lago a Moscufo e nel 1166 l’ambone della chiesa di Santo Stefano a Cugnoli. L’ambone di Porclaneta ha una cassa quadrangolare poggiante su pilastri ottagoni; i capitelli sono decorati da figure umane barbute intrecciate a sinuosi elementi vegetali e sorreggono archi trilobi, nel prospetto e nel retro, ed archi a tutto sesto a lato. Della decorazione a stucco della cassa rimangono il corpo acefalo del leone alla base del lettorino semicilindrico e i bassorilievi su due fasce disposti a destra e sul parapetto della scala, con scene raffiguranti diaconi e soggetti testamentari, come David che lotta con un orso, la danza di Salomè e Giona ingoiato dalla balena, soggetto che Nicodemo replicherà sull’ambone di Moscufo. Al di sopra dei bassorilievi corre una fascia di piccoli archetti a ferro di cavallo, che continua anche sul parapetto della scala. Diversamente dall’ambone, il ciborio (vd. sezione Scultura Medievale, L’Aquila) non reca alcuna iscrizione che indichi l’anno di realizzazione o l’autore tuttavia, grazie a puntuali confronti stilistici, può ugualmente essere attribuito al magister Roberto ed esser datato, in riferimento all’ambone, in prossimità del 1150. Molti dei motivi decorativi presenti nell’ambone sono riproposti nel ciborio; in particolare un motivo ad intreccio a tre bande, dall’andamento assai regolare, è scolpito in maniera identica in entrambe le opere, ed è significativo che tale decorazione non sia rintracciabile in nessun altra scultura loro attribuita. Il ciborio inoltre, anche se stilisticamente mostra un “fare più pacato e classicheggiante” (Gandolfo 2004), sia dal punto di vista strutturale, che delle scelte decorative, ricorda quello dell’abbazia di San Clemente a Guardia Vomano, l’altra opera realizzata dello scultore Roberto, in questo caso insieme al magister Ruggero. Il ciborio è composto da quattro colonne scanalate con capitelli figurati e vegetali, sormontati su ciascun lato da un arco trilobo; il passaggio dalla base quadrangolare alla forma ottagonale del tamburo avviene tramite un doppio giro di arcatelle, chiuse in alto da una spessa cornice classicheggiante. Una ricca decorazione orna i pennacchi e la cornice di imposta al tamburo; un intricato labirinto ad intreccio ospita delle figure antropomorfe e zoomorfe: omini che sorreggono con le mani la lunga barba, un arciere che sta per colpire la preda, un cacciatore che colpisce un basilisco, un altro omino, morso da un cane, che si contorce in una improbabile posa. L’elemento di arredo liturgico più antico tra quelli presenti nella chiesa è la bellissima iconostasi, realizzata con buona probabilità alcuni anni prima dell’arrivo di Roberto e Nicodemo per l’ambone ed il ciborio. L’iconostasi è composta da due lastre in pietra, probabilmente eseguite da artisti diversi, sormontate da quattro colonnine che sorreggono un architrave in legno. La lastra sinistra è decorata da due arcatelle cieche avvolte da un tralcio vegetale a foglie palmate che fuoriesce da un cespo di acanto; nei pennacchi ai lati delle arcatelle trovano posto due piccoli leoni che si torcono indietro nell’atto di addentarsi la coda cuoriforme. Sul pluteo a destra si dispongono con forte vigore plastico un gruppo di aquilotti e colombi, una pistrice, un grifo ed un leone, tutti atteggiati secondo pose e movenze composte come in un campionario araldico. Al di sopra delle colonne poggia l’alto architrave ligneo, decorato da una serie di arcatelle cieche, che viene ritenuto generalmente coevo alla struttura in pietra. All’interno della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta si conservano interessanti affreschi, opera di artisti locali, che raffigurano diversi soggetti sacri, spesso ripetuti. Il gruppo più numeroso di essi si data al XV secolo e comprende, tra le altre, ben sette rappresentazioni della Madonna con Bambino in trono, dislocate sui pilastri delle navate, nonché sulle pareti del transetto e del presbiterio: di queste, due conservano iscrizioni che permettono di assegnar loro una data di esecuzione più precisa (1444 e 1461), ed una presenta la Vergine ed il Bambino affiancati da due santi, S. Michele Arcangelo (a sinistra) ed un santo non meglio identificato (a destra). Allo stesso lasso di tempo si possono datare anche un Cristo crocifisso con S. Giovanni Evangelista e la Madonna sorretta delle pie donne posto nella parete sinistra della navata centrale (seconda arcata) ed un santo ed una santa non riconoscibili dipinti sul terzo pilastro della navata centrale. Sullo stesso pilastro è raffigurato anche un S. Michele Arcangelo, che si presenta con un’altezza (forse) volutamente sproporzionata, ad indicare la supremazia del Bene sul Male, rappresentato dal dragone, del quale è possibile riconoscere la coda in basso a sinistra. Due immagini di S. Antonio Abate si trovano nella navata centrale (secondo pilastro) e nel transetto: la prima presenta in alto un’iscrizione che permette di identificare correttamente il santo raffigurato, il quale, in questo caso, ancora non presenta la tipica iconografia che troviamo invece nel secondo dipinto, forse di poco posteriore. Infine, ascrivibile allo stesso secolo è una rappresentazione di S. Sebastiano presente nel presbiterio. Al secolo precedente si può far risalire un altro affresco, raffigurato sul quarto pilastro della navata centrale, che raffigura S. Lucia, resa identificabile dall’iscrizione posta nella parte superiore del dipinto stesso. Al XIII secolo è databile una Crocifissione di Cristo conservata nel presbiterio: alla tipica coppia di personaggi che si trovano ai piedi della croce (la Madonna e S. Giovanni Evangelista) si aggiunge in questo caso un altro santo (forse un altro Evangelista). Il quadro centrale è affiancato da due pannelli laterali, a mo’ di trittico, nei quali sono raffigurati S. Giovanni Battista (a destra) ed un santo vescovo (a sinistra). Tra il 1150 e il 1166 gli stessi autori hanno creato degli altri cibori e amboni pressoché identici a Santa Maria del Lago a Moscufo , a Santo Stefano a Cugnoli e a San Clemente al Vomano.
Siamo di fronte ad una vera e propria bottega i cui caratteri originalissimi sono inconfondibili. Uno degli elementi caratteristici è la soluzione dei sostegni non più architravata ma aperta da archi gemini o trilobi che donano particolare eleganza all’insieme.
Autentica rarità nei pulpiti di questo periodo è la presenza di scene figurate quali le storie del profeta Giona raccontate con dovizia di particolari in due pannelli sul parapetto della scala d’accesso, Sansone che lotta con il leone e Davide contro l’orso, la danza davanti a Davide. Altre figure completano la decorazione e sono i quattro maestosi simboli degli Evangelisti posti a due a due aggettanti sui lettorini (in parte rovinati a Rosciolo)ed altri personaggi portanti il calice o il turibolo oppure un libro. L’insieme di questi elementi, il tipo di tecnica usata, creano degli “oggetti ” d’arte unici . La bottega di Ruggero produce delle opere apolidi o meglio cosmopolite.Non si riconoscono in esse elementi tali da permettere il loro inserimento in una ben precisa area geografica o culturale.Esse rappresentano un intreccio di influssi e correnti diverse. Per capire meglio la loro origine basterà spostare l’ottica sulla analisi dei singoli elementi per trovare dei modelli precisi nel campo della miniatura, degli avori e nell’architettura stessa. Il loro aspetto insolito è dato non dalla loro monumentalita ma dalla monumentalizzazione di un lavoro di miniatura. L’estraneità all’Abruzzo degli elementi presenti in tali opere farebbe pensare ad una bottega non originaria della regione che per i riferimenti così diversi, si sia formata o abbia avuto contatti nell’ambito di quel centro di scambio e di cultura che era l’ Abbazia di Montecassino . Il lavoro d’ equipe occorso per la ricostruzione dell’Abbazia, attuata da Desiderio tra il 1066 e il 1071 ha certo favorito il contatto e il reciproco influsso tra architetti lombardi, decoratori musulmani o bizantini e soprattutto la diffusione della queste culture dell’Italia centro meridionale di cui l’Abruzzo rappresentava la punta piu settentrionale. (Dalle comparazioni effettuate possiamo formulare l’ ipotesi sull’origine normanna dei tre lapicidi e sulla loro formazione avvenuta quasi sicuramente nell’Italia meridionale della prima meta’ del Xll secolo ancora fortemente intrisa dell’esperienza e della cultura di Montecassino e della sua produzione artistica cosi eclettica e cosmopolita.
Questo particolare insieme di influssi, unito all’aperta e stimolata sensibilita di Ruggero, Roberto e Nicodemo, hanno creato i due cibori e i tre amboni che per la loro originalita’ e curiosita’ sono da considerarsi delle autentiche opere d’arte nel panorama dell’ arredamento liturgico delle chiese italiane della prima meta’ del 1100) (fonte C. Caselli)