Il cammino dei briganti, è un sentiero di 100 km al confine tra Lazio e Abruzzo tra la Marsica ed il Cicolano e si percorre in sette tappe. Il sentiero ripercorre le orme dei briganti che lottavano contro l’invasione sabauda.
Il sentiero dei briganti va da Sante Marie a Tagliacozzo in un percorso ad anello tra boschi e borghi medioevali immerso in una natura selvaggia. SI divide in sette tappe percorribili in sette giorni.
LE SETTE TAPPE DEL CAMMINO DEI BRIGANTI
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PRIMA TAPPA
da Sante Marie a Santo Stefano
DISTANZA: 5,6 km
DISLIVELLI: in salita 381 m – discesa 156m
DURATA Media: 2 ore
DIFFICOLTA’: escursionistico
La prima tappa del sentiero ad anello del cammino dei briganti va da Sante Marie a Santo Stefano. Qui si inizia a familiarizzare con il percorso e con l’ambiente circostante e si ritira il salvacondotto. I due paesi sono piccoli borghi. A Sante Marie sono presenti alcuni negozi dove è possibile acquistare cibo e bevande. Si può visitare il settecentesco Palazzo Colelli che ospita un museo del brigantaggio, lettere d’epoca, foto antiche, cimeli del periodo unitario.
SECONDO GIORNO
SECONDA TAPPA
da Santo Stefano a Nesce (Val de varri)
DISTANZA: 13,9 km
DISLIVELLI: in salita 394 m – discesa 625 m
DURATA Media: 4 ore
DIFFICOLTA’: escursionistico
PUNTO PIU’ ALTO: 1204 m
La seconda tappa del del cammino dei briganti, va da Santo Stefano a Nesce. Si supera il confine tra Abruzzo e Lazio e dopo circa 6 km pianeggianti ci si inoltra nella Val de Varri. Inizia la salita verso il monte Val de Varri che conduce alla Valle del Salto. L’ambiente è montuoso circondato da boschi selvaggi.
Ci si dirige prima verso Poggiovalle (villaggio di origine di alcuni briganti della Banda di Cartore) e si raggiunge Nesce.
TERZO GIORNO
TERZA TAPPA
da Nesce a Cartore
DISTANZA: 17 km
DISLIVELLI: in salita 623 m – discesa 497 m
DURATA Media: 6 ore
DIFFICOLTA’: escursionistico
PUNTO PIU’ ALTO: 944 m
La terza tappa del del cammino dei briganti, va da Nesce a Cartore. Si percorrono le pendici del Monte Velino. Scendendo il fiume Salto ci si dirige verso Spedino e poi verso Cartore. In questo tratto ci sono delle varianti indicate con segni di vernice azzurra e bianca e tabelle.
Variante GROTTI (sola andata – circa 3,5km): dopo il ponte sul fiume Salto, si lascia il cammino e si continua su una strada sterrata che risale il fiume fino alla strada asfaltata. Si svolta a destra e si va diritti, passando il ponte sul fiume Salto fino al fontanile. Si attraversa la strada ci si dirige sulla strada sterrata di fronte. E’ riconoscibile dalle piante di quercia sui lati. In mezz’ora si arriva a Grotti che si troverà a destra. Per tornare sul cammino si dovrà tornare indietro per lo stesso percorso.
Variante TORANO: (ANDATA 2,9 km / RITORNO 3,2 km. Sulla strada sterrata per Spedino che svolta a sinistra si lascia il Cammino ci si dirige verso destra sul tratto che scende in direzione sud sud est. Si scende a fonte Pozzillo. Dopo la chiesa di San Martino -che ci si lascia a destra- si imbocca via della fonte e si prosegue su strada asfaltata fino a Torano. Il tempo di percorrenza è di circa 45/60 minuti. Per ritornare sul Cammino dei Briganti si percorre lo stesso percorso in senso contrario fino alla chiesa di San Pietro in piazza Vittorio Emanuele. Lì si va a destra e per via Spedino, si segue la strada sterrata ci si raccorda Cammino a Spedino.
QUARTO GIORNO
QUARTA TAPPA
da Cartore al lago della Duchessa
DISTANZA: 12,3 km
DISLIVELLI: in salita 870 m – discesa 870m
DURATA Media: 5 ore
DIFFICOLTA’: escursionisti ESPERTI
PUNTO PIU’ ALTO: 1807 m
La quarta tappa del del cammino dei briganti, va da Cartore al lago della Duchessa ed è facoltativa. Considerati i dislivelli questa tappa è per escursionisti ESPERTI. Il percorso è ad anello, si sale da Cartore a 1800 metri del lago della Duchessa. Da qui si ripercorre il percorso di andata e dopo circa un chilometro, si imbocca il tracciato a destra ch porta a Cartore (km 7,4).
QUINTO GIORNO
QUINTA TAPPA
da Cartore al Rosciolo (Agriturismo)
DISTANZA: 10 km
DISLIVELLI: in salita 270 m – discesa 390 m
DURATA Media: 5,5 ore
DIFFICOLTA’: escursionistico
PUNTO PIU’ ALTO: 1223 m
La quinta tappa del del cammino dei briganti, va da Cartore a Rosciolo dei Marsi presso l’agriturismo il Timo. Partiti da Cartore si sale verso Passo Le Forche alle pendici del Monte Velino e ci si dirige verso Valle Porclaneta. Arrivati alla chiesa di Santa Maria Maria in Valle Porclaneta (da visitare) ci si dirige verso Rosciolo. La tappa è abbastanza breve e per questo in molti si spingono fino all’agriturismo il Timo. Si trova in direzione di Magliano de’ Marsi alla destra della strada “Pascolano”. Qui trovi i dettagli ed i servizi disponibili per il Cammino dei Briganti
VARIANTE AGRITURISMO IL TIMO: (sul percorso 2.6km) sulla strada che va da Rosciolo a Magliano de’ Marsi. Prima di imboccare “via pascolano” ci si mantiene sulla destra sulla strada che collega il paese di Rosciolo a Magliano de’ Marsi.
L’agriturismo il Timo si trova sulla sinistra a metà tra i due paesi. Se state percorrendo via Pascolano, l’agriturismo sarà a destra.
Se avete tempo a disposizione potete pernottare due notti e cogliere l’occasione per visitare gli scavi archeologici di Alba Fucens oppure potete decidere per una escursione in quota sul Monte Velino. Per prenotare uno chalet in agriturismo puoi verificare costi e disponibilità qui
SESTO GIORNO
SESTA TAPPA
Da Rosciolo (Agriturismo) a Casale le Crete
DISTANZA: 12,5 km
DISLIVELLI: in salita 180 m – discesa 330 m
DURATA Media: 4 ore
DIFFICOLTA’: escursionistico
PUNTO PIU’ ALTO: 956 m
La sesta tappa del del cammino dei briganti, va da Rosciolo dei Marsi o l’agriturismo il Timo a Casale le Crete (Tagliacozzo). Dall’agriturismo si possono percorrere due strade, una che passa all’interno di Magliano de’ Marsi e va verso Scurcola Marsicana.
L’altra che dall’agriturismo il Timo va verso il fiume a Sud-ovest. Si può passare da Sorbo salendo verso un sentiero sterrato evitando le strade asfaltate. In questo caso si supererà Scurcola senza visitarla. L’arrivo è a Casale le Crete
SETTIMO GIORNO
SETTIMA TAPPA
Da Casale le Crete a Sante Marie
DISTANZA: 12,5 km
DISLIVELLI: in salita 180 m – discesa 330 m
DURATA Media: 4 ore
DIFFICOLTA’: escursionistico
PUNTO PIU’ ALTO: 956 m
La settima tappa del del cammino dei briganti, va da Casale le Crete a Sante Marie (arrivo). Si percorrono sentieri sterrati fino a San Donato e si raggiunge un antico castello. Dopo essere scesi a Scansano si raggiunge Sante Marie.
Informazioni utili per scoprire le montagne dell'Abruzzo
In Abruzzo la gentilezza della gente del luogo, permette di scoprire ed esplorare tutti i luoghi ed i tesori della montagna abruzzese, da nord a sud, godendo di una calda ospitalità. Le aree naturalistiche, oramai in gran parte Parchi nazionali e regionali e Riserve, sono Il filo conduttore nella scoperta di questa regione. Inoltre, le migliori fonti di informazione sui luoghi dell’Abruzzo sono proprio le persone del posto: gli abruzzesi.
La regione dell’Abruzzo è al centro della penisola italiana ed occupa una superficie di 10 831 km². È divisa in quattro province: L’Aquila, Pescara, Chieti e Teramo. Confina a nord con le Marche, ad est con il mare Adriatico, ad ovest con il Lazio e a sud con il Molise. Si divide in una parte costiera nel versante d’oriente con le spiagge dell’Adriatico, e in una parte montuosa dal lato occidentale con il Gran Sasso d’Italia (2 914 m s.l.m.), il Sirente-Velino (2 487 m s.l.m.) e la Majella (2 793 m s.l.m.) che sono di fatto i tre massicci montuosi più alti della catena appenninica.
Secondo l’Huffington Post e la CNN statunitense (leggi questo articolo), l’Abruzzo è quinta tra le dodici migliori regioni al mondo per la qualità della vita. Vanta il titolo di “Regione verde d’Europa“, grazie alla presenza dei tre parchi nazionali (il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, il Parco nazionale della Majella e il Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga), del Parco naturale regionale Sirente-Velino, dell’Area marina protetta Torre del Cerrano e delle trentotto aree protette che rappresentano più del 35% della sua superficie totale. Inoltre, nelle aree protette abruzzesi è custodito oltre il 75% delle specie animali e vegetali d’Europa.
La regione detiene le vette più alte dell’Appennino peninsulare, con il Gran Sasso (Corno Grande) ed il massiccio della Maiella (Monte Amaro), i rilievi dei monti della Laga al confine con Lazio e Marche, del gruppo Sirente-Velino, delle montagne del Parco Nazionale d’Abruzzo al confine con Lazio e Molise e dei monti Simbruini in comune con il Lazio.
La maggior parte sono costituiti da rocce per la gran parte calcaree, di origine marina, appartenenti al Mesozoico (Triassico, Giurassico e Cretaceo).
Addentrandosi verso l’interno dell’Abruzzo il clima diviene continentale fino a essere quello tipico di montagna sui rilievi più alti. La provincia dell’Aquila seguita da quelle di Teramo e Chieti, è la provincia più fredda. Infatti, in inverno nelle zone interne, nella Conca aquilana, nella Marsica, le gelate sono frequenti ed intense con le temperature che possono scendere frequentemente al di sotto di 25 °C sotto zero. Anche nella Piana del Fucino, raggiungono temperature molto basse come ad esempio quando nel 1985 sono stati rilevati -27°C.
Proprio per la natura rocciosa e calcarea, la regione è anche ricca di grotte. Alcune sono visitabili dal pubblico altre invece sono percorsi molto tecnici destinati ai più esperti.
Dove sciare in Abruzzo, vicino al nostro Agriturismo
Nei mesi più freddi l’Abruzzo si trasforma in una meta per eccellenza per gli amanti della neve.
La magia dell’Abruzzo d’inverno
In inverno, in Abruzzo siamo attraversati da 700 chilometri di piste, da quelle più note quali Roccaraso, Rivisondoli, Campo Felice, Ovindoli, Marsia, passando per la stazione del Gran Sasso di Campo Imperatore, e arrivando alle località di Pescasseroli, Passolanciano, Majelletta, Campo di Giove e Prati di Tivo.
Nelle vicinanze dell’Agriturismo il Timo, ci sono due impanti di risalita, il meglio rispetto agli hotel ovindoli o agli hotel campo felice, o agriturismo ovindoli, o b&B campo felice. La permanenza nel nostro agriturismo, vi permetterà di raggiungere una di queste mete sciistiche in pochissimi minuti e di godere di tutto lo spazio ed i COMFORT dei nostri CHALET IN LEGNO.
Campo Felice (dista soli 25 minuti) è anche un paradiso per i bambini: infatti, grazie alla “Manovia Baby” e al tappeto Scuola “Brecciara” hanno uno spazio dedicato per imparare a sciare con più facilità e tranquillità. Il divertimento è assicurato poi con la “Fun Kids Area” : il parco “Snow Tubing”, servito da un tappeto lungo circa 90 metri e situato all’altezza della pista “Campo Scuola”, aspetta grandi e piccoli tutti i week end.
Dista da noi 25 minuti. Il paese è una delle stazioni invernali più conosciute del Centro Italia, posto alle pendici del monte Magnola (2220 metri slm), offre ai suoi visitatori importanti strutture ricettive e piste di sci alpino di ogni grado di difficoltà. Fa parte inoltre del comprensorio sciistico Skipass dei Parchi, insieme a Campo Felice, Campo Imperatore e Grotte di Stiffe.
A soli 30 minuti da noi, sull’Altopiano delle Rocche – “Piani di Pezza” (nel territorio di Rocca di Mezzo), si trovano invece le piste di sci nordico, tra le più lunghe del centro-sud e dove nel 1986 ci fu l’incontro storico tra Papa Giovanni Paolo II e ben 13.000 giovani scout AGESCI.
L’Abruzzo d’inverno è un luogo ideale per splendide vacanze bianche, garantite dall’abbondante neve naturale e dagli efficientissimi impianti di innevamento artificiale.
Vari i comprensori sciistici, tutti attrezzati con moderni impianti di risalita e ricchi di tracciati di ogni difficoltà, ideali sia per lo sci alpino sia per lo snowboard: Campo Felice e Ovindoli sono raggiungibili da Roma davvero in un attimo. Le due stazioni, insieme a Campo Imperatore, costituiscono il Consorzio Nevi Gemelleche prevede un unico skipass per 65 km. Le piste di Prati di Tivo e Passo Lanciano-Maielletta sono invece vista mare. In crescita e non meno apprezzate le stazioni sciistiche di Prato Selva, Marsia, Campo Rotondo e Campo di Giove. Per gli amanti dello Snow Board, diverse località prevedono anche spazi e piste attrezzati che garantiscono libertà di evoluzione e divertimento. Per gli appassionati dello sci nordico le montagne abruzzesi sono il terreno ideale: fra altopiani dolcemente ondulati e secolari faggete si spazia nella varietà di percorsi. Ottima anche la varietà di itinerari per sci alpinismo e l’opportunità di sperimentare discipline particolari come lo sleddog.
Gli scavi di Alba Fucens e la Chiesa di San Pietro
Un suggestivo sito archeologico ai piedi del Monte Velino. La città romana di Alba Fucens ha una storia affascinante tutta da scoprire.
Alba Fucens
Fù una città edificata dagli Equi un popolo combattivo che più volte ostacolò l’espansione di Roma. Alba Fucens diviene colonia latina “sine sufragio”, e in seguito municipio romano, diventando la città più popolosa e importante della regione (circa 30.000 abitanti).
Gli scavi di Alba Fucens e la Chiesa di San Pietro possono essere visitati in autonomia oppure possiamo organizzarvi una visita guidata con personale esperto della storia di Alba Fucens.
Dove si trova
E’ situata alle pendici del Monte Velino, raggiungibile sia in auto che in bici su strada asfaltata.
PERCORSO
Punto di Partenza:Agriturismo il Timo Distanza: 10km Durata: a piedi 1h 40′, in bici 50′, in macchina 16′
Gli scavi archeologici di Alba Fucens, scoperta nel 1949, si trovano su un rilievo a 1.016 m. che si affaccia sui Piani Palentini. Fù una città edificata dagli Equi un popolo combattivo che più volte ostacolò l’espansione di Roma. Nel 458 a.C. gli Equi subirono, assieme ai Volsci la prima e dura sconfitta da parte di Cincinnato, ma il condottiero romano non riesce a penetrare all’interno della fortezza. E’ solo nel 303 a.C. che gli Equi verranno definitivamente sconfitti. Alba Fucens diviene colonia latina “sine sufragio”, e in seguito municipio romano, diventando la città più popolosa e importante della regione (circa 30.000 abitanti). La colonia, posta sulla Via Valeria ad una altitudine massima di 990 m.s.l.m., era circondata da quasi tre chilometri di mura difensive e da quattro porte di accesso. Dopo avere partecipato alla Seconda guerra punica, inviando soldati contro Annibale, fu ritenuta una città fedele a Roma. Questo fu probabilmente il motivo per cui Alba Fucens conobbe un lungo periodo di prosperità e ricchezza. La colonia, infatti, fu abbellita con numerosi edifici, tuttora in parte visibili: il foro, l’anfiteatro, la basilica, il macellum, le terme, l’acquedotto e dei templi. La struttura urbanistica riflette l’impianto romano dei cardi e dei decumani. Lungo la Via del Miliario sono visibili i resti di una antica domus romana e una pietra miliare, di particolare pregio, raffigurante un combattimento tra gladiatori su cui è incisa la distanza da Roma: 68 miglia.
Da visitare nell’area degli scavi (ingresso libero) le mura italiche risalenti alla fine del IV sec. a.C.;il centro cittadino con l’incrocio del Miliarium e del Decumanus Maximus (le due strade principali); l’area del Foro, le Terme, il Santuario di Ercole, le botteghe; l’anfiteatro e il suo ottimo sistema acustico (primi anni del primo sec. a.C.). Sulla stuttura del Tempio dedicato al Dio Apollo è stata costruita la Chiesa di S. Pietro uno dei gioielli del romanico abruzzese. Di grande interesse sono i mosaici e i marmi del pulpito e dell’iconostasi. L’interno della chiesa è di suggestiva bellezza, il fianco sinistro è quello meglio conservato, la pietra viva è ancora quella del Tempio italico. La chiesa venne quasi completamente distrutta dal terremoto del 13 Gennaio 1915, ma fu poi ricostruita fedelmente.
Uno scrigno di storia di fronte le pendici del massiccio del monte Velino
Chiesa di Santa Maria in Val Porclaneta, a Rosciolo
La chiesa d Santa Maria in Valle Porclaneta a Rosciolo dei Marsi, ospita al suo interno due splenditi capolavori in stucco, un ciborio ed un ambone, di una bottega di lapicidi i cui nomi sono Ruggero suo figlio Roberto e Nicodemo. Sappiamo i loro nomi in quanto, caso insolito per l’epoca, hanno firmato le loro opere.
La chiesa di Santa Maria in Val Porclaneta è uno dei più interessanti esempi di arte romanica abruzzese, in cui confluiscono influenze arabo-ispaniche, bizantine e longobarde.
Dove si trova
E’ situata alle pendici del Monte Velino a m. 1022 di altezza, raggiungibile percorrendo una caratteristica mulattiera che la collega al vicino paese di Rosciolo, frazione di Magliano de’ Marsi.
PERCORSO
Punto di Partenza:Agriturismo il Timo Distanza: 4km Durata: a piedi 1h 40′, in bici 40′, in macchina 10′
La presenza monastica nel sito è sicuramente anteriore al 1080, anno in cui “Il conte Berardo figlio di Berardo, conte dei Marsi, donò al monastero di Montecassino il monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta e il castello di Rosciolo con le sue pertinenze” (come documenta il Lubin A., Abbatiarum Italiae brevis notitia, Roma 1693). Subito dopo i Benedettini avviarono la ricostruzione del complesso abbaziale nelle forme che ancora oggi possiamo ammirare; a differenza della chiesa, del monastero non rimane più alcuna traccia. Nonostante l’appartenenza cassinese, la chiesa non riflette lo stile caratteristico che contraddistingue le fondazioni legate più o meno direttamente alla committenza dell’abate Desiderio di Montecassino, interpretando in maniera originale il linguaggio architettonico e decorativo. La facciata a due spioventi è preceduta da un atrio coperto (esonartece) con unica arcata a tutto sesto e con tetto a due falde; nei pilastri laterali due iscrizioni attestano le identità del “benefattore e donatore … Berardo figlio di Berardo” e “dell’illustre Nicolò” che dovette curare la costruzione dell’edificio. Attraverso il portico si raggiunge l’ingresso principale: un portale dalle linee piuttosto semplici in cui spicca la presenza di una graziosa lunetta ogivale, affrescata nel XV secolo con una raffigurazione della Madonna col Bambino tra due Angeli adoranti. Lungo il fianco destro della chiesa è possibile ammirare un piccolo portale, ornato da una formella scolpita raffigurante una Madonna con Bambino benedicente, opera attribuita al maestro Nicolò. Interrompono la cortina muraria un’elegante bifora e due piccole monofore realizzate nel XIV secolo. Degna di nota è poi la decorazione esterna dell’abside, riedificata in forma poligonale nel Duecento ed ornata da semicolonne disposte in tre ordini; delimitano i registri due cornici, lavorate a foglie di acanto e palmette dritte nel primo registro, con semplici modanature nel secondo. Chiude la composizione una teoria di archetti ciechi, alternativamente a pieno centro e trilobi. I capitelli delle semicolonne sono decorati da raffinati motivi vegetali di tipo borgognone; nel secondo ordine fungono da base alle semicolonne dei leoni stilofori che ricordano le scelte compositive adottate a S. Pelino a Corfinio. La chiesa presenta una pianta di tipo basilicale, suddivisa in tre navate da massicci pilastri quadrati e terminante con un’abside semicircolare; tre scalette immettono nel presbiterio, rialzato per via della cripta rettangolare che si sviluppa nello spazio sottostante. I capitelli propongono nella decorazione un rappresentativo repertorio di motivi romanici; cornici “classiche” benedettine, sul modello di S. Liberatore a Maiella, si alternano a girali, palmette, fiori, animali, dal taglio plastico o estremamente stilizzato, in linea con la tradizione figurativa locale. A destra dell’ingresso è posto il sepolcro del maestro Nicolò, con la lapide scolpita dallo stesso artista, lungo la quale un’iscrizione recita “OPUS EST FATUM NICOLAUS Q.IACET HIC”. Un arco gotico, sorretto da colonnine tortili, chiude il sarcofago, ornato da pannelli figurati a rilievo, raffiguranti un Agnus Dei tra due angeli ed un gallo ed una sfinge dal volto umano. Non è più identificabile l’affresco che un tempo ornava il fondo dell’arcosolio. Di grande valore artistico sono poi l’ambone, il ciborio e l’iconostasi. L’ambone di Rosciolo è uno dei più begli esempi di scultura medievale abruzzese (vd. sezione Scultura Medievale, L’Aquila). La struttura in pietra è rivestita dallo stucco, lavorato con sapiente maestria dai magistri Roberto e Nicodemo, che firmano con orgoglio l’opera ricordando l’anno di esecuzione, il 1150. (INGENII CERTUS VARII MULTIQUE ROBERTUS HOC LEVIGARUM NICODEMUS ADQUE DOLARUM; [ANNUS] MILLENUS CENTENUS QUINQUIE DENUS CUM FUIT HOC FACTUM FLUX(IT)/ …EPTEN … VI MENSE HOCTUBER). Roberto di Ruggiero è noto per aver realizzato qualche anno prima il ciborio di S. Clemente a Guardia al Vomano, mentre Nicodemo di Guardiagrele, che compare per la prima volta a Rosciolo, realizza nel 1158 l’ambone della chiesa di Santa Maria del Lago a Moscufo e nel 1166 l’ambone della chiesa di Santo Stefano a Cugnoli. L’ambone di Porclaneta ha una cassa quadrangolare poggiante su pilastri ottagoni; i capitelli sono decorati da figure umane barbute intrecciate a sinuosi elementi vegetali e sorreggono archi trilobi, nel prospetto e nel retro, ed archi a tutto sesto a lato. Della decorazione a stucco della cassa rimangono il corpo acefalo del leone alla base del lettorino semicilindrico e i bassorilievi su due fasce disposti a destra e sul parapetto della scala, con scene raffiguranti diaconi e soggetti testamentari, come David che lotta con un orso, la danza di Salomè e Giona ingoiato dalla balena, soggetto che Nicodemo replicherà sull’ambone di Moscufo. Al di sopra dei bassorilievi corre una fascia di piccoli archetti a ferro di cavallo, che continua anche sul parapetto della scala. Diversamente dall’ambone, il ciborio (vd. sezione Scultura Medievale, L’Aquila) non reca alcuna iscrizione che indichi l’anno di realizzazione o l’autore tuttavia, grazie a puntuali confronti stilistici, può ugualmente essere attribuito al magister Roberto ed esser datato, in riferimento all’ambone, in prossimità del 1150. Molti dei motivi decorativi presenti nell’ambone sono riproposti nel ciborio; in particolare un motivo ad intreccio a tre bande, dall’andamento assai regolare, è scolpito in maniera identica in entrambe le opere, ed è significativo che tale decorazione non sia rintracciabile in nessun altra scultura loro attribuita. Il ciborio inoltre, anche se stilisticamente mostra un “fare più pacato e classicheggiante” (Gandolfo 2004), sia dal punto di vista strutturale, che delle scelte decorative, ricorda quello dell’abbazia di San Clemente a Guardia Vomano, l’altra opera realizzata dello scultore Roberto, in questo caso insieme al magister Ruggero. Il ciborio è composto da quattro colonne scanalate con capitelli figurati e vegetali, sormontati su ciascun lato da un arco trilobo; il passaggio dalla base quadrangolare alla forma ottagonale del tamburo avviene tramite un doppio giro di arcatelle, chiuse in alto da una spessa cornice classicheggiante. Una ricca decorazione orna i pennacchi e la cornice di imposta al tamburo; un intricato labirinto ad intreccio ospita delle figure antropomorfe e zoomorfe: omini che sorreggono con le mani la lunga barba, un arciere che sta per colpire la preda, un cacciatore che colpisce un basilisco, un altro omino, morso da un cane, che si contorce in una improbabile posa. L’elemento di arredo liturgico più antico tra quelli presenti nella chiesa è la bellissima iconostasi, realizzata con buona probabilità alcuni anni prima dell’arrivo di Roberto e Nicodemo per l’ambone ed il ciborio. L’iconostasi è composta da due lastre in pietra, probabilmente eseguite da artisti diversi, sormontate da quattro colonnine che sorreggono un architrave in legno. La lastra sinistra è decorata da due arcatelle cieche avvolte da un tralcio vegetale a foglie palmate che fuoriesce da un cespo di acanto; nei pennacchi ai lati delle arcatelle trovano posto due piccoli leoni che si torcono indietro nell’atto di addentarsi la coda cuoriforme. Sul pluteo a destra si dispongono con forte vigore plastico un gruppo di aquilotti e colombi, una pistrice, un grifo ed un leone, tutti atteggiati secondo pose e movenze composte come in un campionario araldico. Al di sopra delle colonne poggia l’alto architrave ligneo, decorato da una serie di arcatelle cieche, che viene ritenuto generalmente coevo alla struttura in pietra. All’interno della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta si conservano interessanti affreschi, opera di artisti locali, che raffigurano diversi soggetti sacri, spesso ripetuti. Il gruppo più numeroso di essi si data al XV secolo e comprende, tra le altre, ben sette rappresentazioni della Madonna con Bambino in trono, dislocate sui pilastri delle navate, nonché sulle pareti del transetto e del presbiterio: di queste, due conservano iscrizioni che permettono di assegnar loro una data di esecuzione più precisa (1444 e 1461), ed una presenta la Vergine ed il Bambino affiancati da due santi, S. Michele Arcangelo (a sinistra) ed un santo non meglio identificato (a destra). Allo stesso lasso di tempo si possono datare anche un Cristo crocifisso con S. Giovanni Evangelista e la Madonna sorretta delle pie donne posto nella parete sinistra della navata centrale (seconda arcata) ed un santo ed una santa non riconoscibili dipinti sul terzo pilastro della navata centrale. Sullo stesso pilastro è raffigurato anche un S. Michele Arcangelo, che si presenta con un’altezza (forse) volutamente sproporzionata, ad indicare la supremazia del Bene sul Male, rappresentato dal dragone, del quale è possibile riconoscere la coda in basso a sinistra. Due immagini di S. Antonio Abate si trovano nella navata centrale (secondo pilastro) e nel transetto: la prima presenta in alto un’iscrizione che permette di identificare correttamente il santo raffigurato, il quale, in questo caso, ancora non presenta la tipica iconografia che troviamo invece nel secondo dipinto, forse di poco posteriore. Infine, ascrivibile allo stesso secolo è una rappresentazione di S. Sebastiano presente nel presbiterio. Al secolo precedente si può far risalire un altro affresco, raffigurato sul quarto pilastro della navata centrale, che raffigura S. Lucia, resa identificabile dall’iscrizione posta nella parte superiore del dipinto stesso. Al XIII secolo è databile una Crocifissione di Cristo conservata nel presbiterio: alla tipica coppia di personaggi che si trovano ai piedi della croce (la Madonna e S. Giovanni Evangelista) si aggiunge in questo caso un altro santo (forse un altro Evangelista). Il quadro centrale è affiancato da due pannelli laterali, a mo’ di trittico, nei quali sono raffigurati S. Giovanni Battista (a destra) ed un santo vescovo (a sinistra). Tra il 1150 e il 1166 gli stessi autori hanno creato degli altri cibori e amboni pressoché identici a Santa Maria del Lago a Moscufo , a Santo Stefano a Cugnoli e a San Clemente al Vomano.
Siamo di fronte ad una vera e propria bottega i cui caratteri originalissimi sono inconfondibili. Uno degli elementi caratteristici è la soluzione dei sostegni non più architravata ma aperta da archi gemini o trilobi che donano particolare eleganza all’insieme.
Autentica rarità nei pulpiti di questo periodo è la presenza di scene figurate quali le storie del profeta Giona raccontate con dovizia di particolari in due pannelli sul parapetto della scala d’accesso, Sansone che lotta con il leone e Davide contro l’orso, la danza davanti a Davide. Altre figure completano la decorazione e sono i quattro maestosi simboli degli Evangelisti posti a due a due aggettanti sui lettorini (in parte rovinati a Rosciolo)ed altri personaggi portanti il calice o il turibolo oppure un libro. L’insieme di questi elementi, il tipo di tecnica usata, creano degli “oggetti ” d’arte unici . La bottega di Ruggero produce delle opere apolidi o meglio cosmopolite.Non si riconoscono in esse elementi tali da permettere il loro inserimento in una ben precisa area geografica o culturale.Esse rappresentano un intreccio di influssi e correnti diverse. Per capire meglio la loro origine basterà spostare l’ottica sulla analisi dei singoli elementi per trovare dei modelli precisi nel campo della miniatura, degli avori e nell’architettura stessa. Il loro aspetto insolito è dato non dalla loro monumentalita ma dalla monumentalizzazione di un lavoro di miniatura. L’estraneità all’Abruzzo degli elementi presenti in tali opere farebbe pensare ad una bottega non originaria della regione che per i riferimenti così diversi, si sia formata o abbia avuto contatti nell’ambito di quel centro di scambio e di cultura che era l’ Abbazia di Montecassino . Il lavoro d’ equipe occorso per la ricostruzione dell’Abbazia, attuata da Desiderio tra il 1066 e il 1071 ha certo favorito il contatto e il reciproco influsso tra architetti lombardi, decoratori musulmani o bizantini e soprattutto la diffusione della queste culture dell’Italia centro meridionale di cui l’Abruzzo rappresentava la punta piu settentrionale. (Dalle comparazioni effettuate possiamo formulare l’ ipotesi sull’origine normanna dei tre lapicidi e sulla loro formazione avvenuta quasi sicuramente nell’Italia meridionale della prima meta’ del Xll secolo ancora fortemente intrisa dell’esperienza e della cultura di Montecassino e della sua produzione artistica cosi eclettica e cosmopolita.
Questo particolare insieme di influssi, unito all’aperta e stimolata sensibilita di Ruggero, Roberto e Nicodemo, hanno creato i due cibori e i tre amboni che per la loro originalita’ e curiosita’ sono da considerarsi delle autentiche opere d’arte nel panorama dell’ arredamento liturgico delle chiese italiane della prima meta’ del 1100) (fonte C. Caselli)
Il miele è un prodotto alimentare antinfiammatorio così saporito quanto sano.
Secondo l’ultimo studio del 2016 della Commissione sull’attuazione dei programmi a sostegno dell’apicultura, l’Europa è il secondo produttore al mondo di miele e in Italia vengono prodotti 23.000 delle 250.000 tonnellate di miele che si producono in tutta l’UE.
Noi, con le nostre 90 arnie (circa) contribuiamo a produrre circa 1500 Kg di miele all’anno.
Se in termini percentuali aumenta il numero delle colonie di api, diminuisce invece (-4%) quello degli allevatori. In particolare la Commissione Ue rileva tra gli elementi critici il peggioramento delle condizioni di produzione, l’aumento dei costi di produzione e la crescita delle importazioni di miele a basso costo dai paesi terzi creano una situazione di sempre maggiore concorrenza. Rispetto agli altri Paesi europei il consumo di miele in Italia è comunque molto basso, se si considera che la media europea è intorno ai 700 grammi e i tedeschi e i greci consumano ogni anno oltre un chilo di miele. Fuori dall’europa, questo dolce nettare è l’esportazione più importante di diversi paesi come ad esempio Cuba, davanti a zucchero e caffè, secondo l’ONU. A Cuba, il miele è apprezzato per il suo valore culinario, medicinale e spirituale. Quando ordinate il caffè qui all’Avana, il miele viene spesso presentato insieme allo zucchero. Questa pratica risale alla lotta per l’indipendenza del 1860, quando la produzione di zucchero è stata ridotta, e il popolo cubano ha da tempo riconosciuto i benefici per la salute del miele rispetto allo zucchero.
Sempre secondo il rapporto, nel nostro paese è stato rilevato un aumento nell’importazione del miele prima dalla Romania (che ne produce 34.999 tonnellate) e poi dalla cina (primo produttore mondiale di miele).
Tali importazioni stanno generando un divario di mercato per via dei prezzi più bassi rispetto al miele prodotto in Italia.
In generale il prezzo del miele è in forte ascesa dal 2001 ed è raddoppiato nel corso degli ultimi 7 anni (come viene rilevato da questo rapporto della UNA_API del 2014). Sembra che anche questo fattore, unitamente all’aumento della domanda interna, stia agevolando l’importazione da altri paesi. A causa della diversa regolamentazione sulla tracciabilità e sulla valutazione qualitativa dei paesi esteri di produzione (a volte inestistente) la stessa qualità del miele prodotto all’estero viene costantemente messa in discussione.
La qualità del miele
A fare la qualità del miele concorrono numerosi aspetti ed i primi elementi di qualità sono la genuinità e la salubrità del prodotto. Secondo la legge Italiana, è considerato miele solo il prodotto che sia fatto dalle api a partire da nettare o da melata: non esistono, in altre parole, mieli “artificiali” o fatti con lo zucchero; prodotti del genere non possono essere legalmente commercializzati. Niente conservanti, quindi, non ce ne sarebbe bisogno, ma neanche coloranti o aromatizzanti: l’aroma e il colore del miele sono quelli che gli derivano dalle piante bottinate dalle api. Tra i prodotti alimentari il miele è anche uno di quelli che può dare maggiori garanzie riguardo alla presenza di eventuali residui di sostanze estranee: anche in questo caso è la legislazione, con norme restrittive, a fare da guardiana alla salute pubblica, ma è la sua stessa natura ad assicurare la necessaria salubrità.
Un tema diverso invece è quello che riguarda “le miscele” di miele che sono un mix di diverse tipologie di miele che servirebbero, tra le altre cose, a mantenere il miele in forma liquida.
Come riconoscere mieli di qualità
Un criterio di qualità, è la buona conservabilità del prodotto, che è collegata a un basso contenuto d’acqua. In questo caso è l’apicoltore, o comunque chi commercializza, a selezionare i mieli in modo da garantirne la qualità sotto questo punto di vista. La legge, in questo caso, è molto permissiva, ma è anche interesse del produttore non mettere in commercio prodotti che rischiano di fermentare proprio per la presenza di acqua. I mieli fermentati si riconoscono facilmente già dall’aspetto schiumoso, con bolle di gas inglobate ed un’eventuale separazione tra la componente liquida e quella solida.
Separazione in fasi
Un sintomo di invecchiamento e di conservazione a temperatura eccessivamente elevata è la separazione di fasi, cioè l’evidenziazione di uno strato di miele liquido alla superficie del prodotto cristallizzato.
Il processo di cristallizzazione è un processo naturale ed avviene per diversi fattori. Il primo è il rapporto fra glucosio e acqua. Tutti i mieli sono costituiti da circa un 18% di acqua. In quest’acqua è disciolto il 70% circa di zuccheri monosaccaridi (fruttosio e glucosio) in percentuali a loro volta variabili. Si tratta quindi di una soluzione sovrassatura, ossia una soluzione nella quale la concentrazione del soluto (gli zuccheri) supera quella che il solvente (l’acqua) può contenere stabilmente, sicché il glucosio tenderà a separarsi dal solvente precipitando sottoforma di cristalli. Un secondo fattore che consente la cristallizzazione è il rapporto fra fruttosio e glucosio. Se il fruttosio predomina sul glucosio banalmente il miele tenderà a rallentare il processo di cristallizzazione restando a lungo liquido (si pensi al caso dell’acacia o del castagno). Al contrario, mieli nei quali la percentuale di glucosio è più alta (ad esempio gli agrumi e molti millefiori primaverili, il trifoglio, il girasole, timo, santoreggia etc.) avranno rapidi fenomeni di cristallizzazione. Naturalmente l’innesco della cristallizzazione avviene già nel momento dell’estrazione a freddo del miele, che agitando i cristalli ne facilita lo sviluppo, ma possiamo anche dire che la cristallizzazione è accelerata dalle basse temperature.
Cosa fare quando il miele si è cristallizzato?
Si può certamente riscaldarlo, anche a bagno maria, o più semplicemente tenendolo per qualche minuto fra le mani e rimescolandolo con un cucchiaio, o ponendolo per pochi minuti a contatto con una fonte di calore come un termosifone. In alternativa basta metterlo in freezer quando è ancora liquido, per bloccare la precipitazione dei cristalli. Noi preferiamo consumarlo così come si presenta. Infatti, anche i prodotti che hanno subito dei trattamenti termici devono essere considerati impoveriti rispetto agli equivalenti non riscaldati. E’ meglio diffidare quindi dei prodotti che vengono presentati allo stato liquido in una stagione in cui sarebbe lecito immaginarli già cristallizzati, a meno che non si tratti di robinia (acacia), castagno o melata: con ogni probabilità sono stati rifusi. E’ bene ricordare che sia la fusione che la pastorizzazione non hanno alcuno scopo igienico-sanitario e danneggiano irreparabilmente il prodotto, distruggendone la carica enzimatica.
Il miele e le sue proprietà benefiche
Miele di acacia
Sin dai tempi antichi il miele è diventato il concetto di cibo come medicina. Per i Sumeri oltre 4.000 anni fa per il suo uso come unzione e medicina. Il miele contiene vitamina C, complesso vitaminico B e minerali chiave come ferro, calcio e magnesio.
Il miele è ricco di proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.
È stato dimostrato che il miele riduce l’infiammazione, ad esempio COX-2. Contiene molti potenti composti anti-infiammatori chiamati flavonoidi, come la quercitina. Il miele è un alimento base nella medicina tradizionale e è naturale. Tra le principali proprietà riconosciute al miele, ricordiamo: 1) Sedativo della tosse Secondo gli studi effettuati da parte degli esperti della Tel Aviv University, il miele può essere considerato come un sostituto dei comuni sciroppi per la tosse e somministrato la sera prima di coricarsi nella dose di un cucchiaino, come se si trattasse di un vero e proprio farmaco. I medici hanno potuto rendersi conto nel corso di una simile sperimentazione di come esso possa essere realmente efficace nel sedare la tosse, senza bisogno di ricorrere ad altri medicinali. 2) Proprietà antibiotiche Le proprietà antibiotiche del proprietà antibiotiche del miele applicato sulla pelle per uso topico erano ben conosciute da parte della medicina naturale tradizionale, ma furono presto dimenticate da molti con l’arrivo della penicillina e di pomate farmaceutiche per la cura di ustioni ed abrasioni. Secondo uno studio effettuato in Nuova Zelanda, il miele, con particolare riferimento alla varietà “Manuka”, conterrebbe una quantità di perossido di idrogeno che ne renderebbe benefica l’applicazione come antibiotico e disinfettante su piccole lesioni della pelle. 3) Proprietà antinfiammatorie Tra le proprie numerose caratteristiche ritenute benefiche per la salute, il miele presenta inoltre delle proprietà antinfiammatorie che rendono la sua applicazione adatta in caso di punture di insetti, con particolare riferimento alle punture di zanzara. Le proprietà antinfiammatorie del miele permetterebbero infatti di alleviare il prurito ed il rossore provocato dal contatto degli insetti con la nostra pelle. 4) Contenuto di antiossidanti Il miele è considerato come un alimento funzionale ricco di polifenoli, degli antiossidanti naturali che possono aiutare il nostro organismo nella prevenzione di numerose malattie e nel rallentare i processi di invecchiamento che lo coinvolgono con il trascorrere del tempo. Il miele è ritenuto in grado di proteggere l’organismo umano dall’azione svolta dai radicali liberi e di giovare inoltre alla salute del cuore. Bisogna tuttavia tenere conto di come alcuni pediatri preferiscano vietare che venga somministrato miele ai bambini di età inferiore ad un anno per i pericoli legati alle infezioni della tossina botulinica.
In sintesi, il miele merita di entrare tutti i giorni nelle nostre tavole ma è importante assicurarsi che sia di buona qualità.
Per “orto biologico” si intende proprio un insieme di ortaggi coltivati senza uso di concimi chimici o diserbanti. Affinché un orto possa definirsi tale non basta, coltivare le verdure evitando di aggiungere diserbanti, ma è anche necessario che tutte le fasi colturali siano realizzate con metodi “biologici”. Le piante dell’orto biologico devono nascere ed essere messe a dimora, concimate, rinvasate e diserbate ricorrendo a metodi naturali o a tecniche manuali. Le nostre piante orticole prevedono, infatti, sin dalla germinazione del seme (proveniente da processi biologici e biodinamici) un naturale processo di crescita biologico. I concimi dovranno, quindi, comprendere esclusivamente fertilizzanti organici, come stallatico maturo, compost, torba, pollina e simili, mentre la lotta a parassiti e piante infestanti dovrà essere fatta ricorrendo a sostanze esistenti in natura o alla rimozione manuale. Gli insetti ed i parassiti vegetali vanno combattuti esclusivamente con sostanze a base di rame e zolfo (e con le giuste dosi), composti chimici già esistenti in natura. Nella maggior parte dei casi, però, la coltivazione di un orto biologico va fatta escludendo qualsiasi sostanza chimica.
Le regole di un buon orto “bio”
Oggi si fa un gran parlare di orto biologico, di “verdure fai da te a chilometro zero”. Ma cosa rende un orto veramente biologico? – Utilizzare soltanto concimi biologici come letame, torba, compost. – Selezionare esclusivamente semi e piantine naturali (per intendersi, evitare tutti quelli che nella confezione o nella bustina recano la scritta “Ibrido” – Utilizzare la tecnica della “rotazione degli ortaggi”, che differenziando ogni stagione il tipo di coltura su un determinato spazio, consente sia l’arricchimento naturale del terreno con elementi differenti sia la non proliferazione di specifici parassiti – Proteggere il proprio orto, al di là dell’ampiezza, con apposite barriere naturali che impediscano l’accesso ad animali dannosi – Utilizzare insetticidi naturali a base di rame o zolfo – Divieto assoluto di erbicidi, pesticidi, fertilizzanti chimici
Suggerimenti Utili
Dopo aver acquistato le piantine biologiche… Ogni anno ha le sue stagioni e non sempre l’acquisto delle piantine e la relativa messa a dimora coincide con la stagione ideale per iniziare la coltivazione. Per evitare di compromettere il raccolto ti diamo 3 piccoli suggerimenti da seguire: Acquista subito le piantine Se è vero che bisogna sempre attendere la stagione giusta per avviare le coltivazioni, è anche vero che attendendo troppo si rischia di inoltrarsi troppo in stagione e di non raccogliere i frutti. Acquistando subito le piantine orticole potrai disporre di piante con una crescita adeguata e pronte ad essere messe a dimora. Fai però attenzione a proteggerle dal freddo e dalle intemperie. Proteggi le tue piantine Dopo aver acquistato le piante, puoi scegliere di metterle a dimora e proteggerle con una “mini serra a tunnel” oppure “mantenerle” in una semplice “serra da balcone” fino a quando non deciderai di trapiantare. In entrambi i casi potrai giovare della continuazione di crescita anche in periodi con meteo non ideale.
Fai però attenzione a tre fattori: a) la serra non deve mai superare i 25° di temperatura, quindi dovrai areare sempre durante le ore più calde b) se utilizzi una serra da balcone evita di disporla in un luogo eccessivamente assolato c) mantieni sempre un’umidità adeguata (50-80%) innaffiando regolarmente. La soluzione migliore è adottare una serra a tunnel (anche se fai da te) in modo da permettere un’areazione naturale tenendo aperti i due lati delle testate.
Il Trapianto.
La fase del trapianto è molto importante e viene spesso sottovalutata. Le piantine sono già “acclimatate” ma potrebbero subire uno stress sia per effetto di cambi repentini delle temperature ma anche per un errato trapianto nel terreno. Per mettere a dimora la piantina assicurati di:
a) porre il terreno fino a 1 cm al disopra il colletto della pianta
b) crea una zona di raccolta d’acqua intorno al colletto in modo da mantenere la zona alla base della pianta sempre umida . Ti suggeriamo inoltre di valutare sistemi di pacciamatura per evitare la crescita di erbe infestanti ricorrendo, ad esempio, all’uso della pacciamatura con la paglia.
170 g di zucchero 350 g di carote 2 uova 200 g di farina 70 ml di olio di semi 50 g di gherigli di noci 1/2 cucchiaino di cannella in polvere un pizzico di sale.
di Giusy Pietrangeli
PREPARAZIONE
Montate le uova con lo zucchero, quindi aggiungete un pizzico di sale, olio di semi, la cannella e la farina, con lievito per dolci. Prendete le carote, pelatele e grattugiatele, unitele al composto insieme ai gherigli di noci tritati.
Riscaldate il forno a 170° ed imburrate una teglia di 20 cm di diametro e versateci dentro il composto. Fate cuocere la torta per circa35 minuti in forno .
La crostata è uno dei dolci più amati, semplice da preparare e ideale per la prima colazione!
1 h
Facile
Dosi per 10 persone
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INGREDIENTI
Ingredienti: 75 Gr di Burro 100 Gr di Zucchero 1 Uovo 150 Gr di Farina 1 cucchiaino di lievito Marmellata ai frutti di bosco Az. Agricola Pietrangeli
di Giusy Pietrangeli
PREPARAZIONE
In una planetaria lavorate a crema il burro con lo zucchero, aggiungete poi l’ uovo, la Farina e il lievito e formate un panetto morbido e liscio avvolgetelo in una pellicola e lasciatelo riposare 30 minuti in frigorifero.
Nel frattempo imburrate ed infarinate uno stampo per crostate di 24 cm; trascorsi 30 minuti, togliete la pasta frolla dal frigorifero. Trasferite il panetto su di un piano di lavoro leggermente infarinato, mettete da parte un pezzo di pasta frolla per le strisce, dopo di che con un mattarello stendete la pasta frolla dello spessore di circa 1 cm e foderate lo stampo per crostate.
Coprite con la marmellata ai frutti di bosco Az. Agricola Pietrangeli.
Con la frolla messa da parte formate delle strisce e disponetele a griglia sulla marmellata.
Infornate a 170° per 40 Min circa. Servitela con un’abbondante spolverata di Zucchero a velo!
LE VARIANTI DEL TIMO
Naturalmente potete usare una qualsiasi altra confettura di vostro gradimento!
I più noti e classici sono quelli di patate, ma in realtà i tipi di gnocchi presenti nella tradizione gastronomica italiana sono tanti e si diversificano, sia per gli ingredienti utilizzati, sia per la modalità di preparazione dell’impasto. Si tratta di un antico piatto di origine popolare, semplice e sostanzioso, composto da ingredienti “poveri”. Con il termine “gnocchi” si indicano pezzetti di pasta a forma tondeggiante preparati con patate cotte impastate con la farina, oppure preparati con altri ingredienti, come il semolino, il pane, poi ci sono gli gnocchi soffiati, quelli di ricotta e spinaci, di zucca, ecc. Quelli più conosciuti sono quelli di patate, e pur avendo in Piemonte e nel Veneto i due maggiori centri di diffusione, gli gnocchi di patate sono molto popolari e consumati in tutta Italia. Si possono condire in mille modi, dai ragù di carne o di pesce a varie combinazioni di verdure, dalla salsa di pomodoro a salse a base di formaggio, oltre che semplicemente con burro e parmigiano. Prepararli in casa non è difficile, ma bisogna procedere nel modo corretto, seguendo alcune semplici regole, la prima delle quali riguarda la scelta delle patate più adatte. Le patate più indicate infatti sono quelle “farinose”, caratteristica tipica di alcune varietà di patate a pasta gialla e di quelle a pasta bianca. Sconsiglio vivamente l’utilizzo di patate novelle, perché essendo molto acquose assorbirebbero troppa farina, rendendo gli gnocchi gommosi.
Come farli Una volta scelte le patate giuste, bisogna lavarle accuratamente, metterle in una casseruola, coprirle con acqua fredda e lessarle poi a fuoco non forte per 20-30 minuti dall’inizio dell’ebollizione. Per capire se sono cotte con i lembi della forchetta basta pungerle e se non si sente resistenza fino al centro della patata allora saranno cotte. Dopo essere state sgocciolate dall’acqua di cottura, vanno sbucciate il prima possibile ed evitare che si raffreddino troppo per la lavorazione, che risulterebbe più difficile. Una volta sbucciate si passano allo schiacciapatate e si lascia intiepidire il passato di patate, si aggiunge poi la farina (250 gr ogni chilogrammo di patate) e un pizzico di sale.
Con le mani si lavora il composto velocemente, prima che il passato si raffreddi del tutto, fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. Se l’eccessiva umidità delle patate dovesse portare a sfaldare l’impasto durante la lavorazione si può aggiungere un uovo. Una volta ottenuto un impasto compatto e soffice se ne ricavano tanti cilindri di circa 1,5 cm di diametro, facendo rotolare piccole parti di impasto a una a una sulla spianatoia infarinata, li si taglia a pezzetti di 2-3 cm circa di lunghezza, ottenendo così gli gnocchi “lisci”. Per ottenere uno gnocco rigato, occorre premere con il pollice al centro di ogni pezzetto di pasta e passarlo sul “rigagnocchi”, oppure si possono utilizzare semplicemente i lembi di una forchetta inumiditi. Man mano che si preparano gli gnocchi vanno allineati su vassoi ben infarinati fino al momento della cottura.
Gli gnocchi vanno cotti in abbondante acqua salata in leggero bollore, e una volta che salgono a galla si sgocciolano con un mestolo trasferendoli nella pirofila, se vanno ripassati in forno, o nella padella se vanno saltati col condimento scelto. Noi utilizziamo solo ingredienti prodotti da noi stessi, le patate sono quelle che coltiviamo, la farina è quella che deriva dalle nostre coltivazioni di grano, poi macinata in un mulino qui vicino, e le uova sono delle nostre galline. Nel nostro menù gli gnocchi sono presenti giornalmente, nelle salse più classiche, ma ci divertiamo ogni tanto a combinare sapori diversi per rendere i nostri gnocchi particolarmente gustosi ed unici. Un piatto semplice e altrettanto delicato inserito da poco nel nostro menù, sono gli gnocchi conditi con una salsa di menta, zenzero e limone. Una salsa semplice da realizzare, briosa, fresca e sempreverde. Si uniscono degli elementi che donano al piatto freschezza e genuinità. Per la realizzazione della salsa basta preparare un mix di scorza di limone, zenzero grattugiato e qualche fogliolina di menta, da unire ad una crema composta da acqua di cottura, pepe e parmigiano. Provate i nostri gnocchi e vedrete che bontà! Questa settimana abbiamo aggiunto un ingrediente particolare ai nostri gnocchi… abbiamo sostituito la classica patata a pasta gialla, con quella viola!
Sentirete che specialità… =D