Tanti dei nostri piatti, i secondi in particolar modo, sono a base di carne, e in cucina, quando parliamo di carne intendiamo le parti commestibili degli animali da macello, da cortile e della selvaggina.
Ovviamente la qualità della carne dipende da diversi fattori: l’età e la razza dell’animale, l’alimentazione e le condizioni di vita, lo stato di ingrasso, lo stato di salute, le modalità di macellazione e conservazione, il rispetto dei requisiti igienici. È importante saper valutare le caratteristiche morfologiche e organolettiche che identificano una carne di buona qualità, quali il colore, l’odore, la consistenza e la tessitura, e noi ci teniamo particolarmente a tenere in considerazioni tutti questi fattori, al fine di creare piatti unici, genuini, teneri, che permettano una lavorazione semplice e veloce.
Scegliamo sempre prima di tutto della carne di prima qualità, e per quanto riguarda il nostro “Vitello in porchetta”, ovviamente utilizziamo la carne di vitello, che abbia circa 8 mesi di età; con un colore roseo, e che sia ricca di acqua e povera di grassi; il taglio che utilizziamo è la pancia, che in realtà come taglio è di terza categoria, infatti utilizzato generalmente per i bolliti, i brodi o i fondi, ma che nel nostro forno a legna rende una cottura incredibile, grazie al tipo di lavorazione che gli riserviamo.
Una volta arrivata la nostra pancia togliamo le parti di carne che non ci occorrono in questa preparazione, ma che utilizzeremo poi in altre ricette! Subito dopo la sgrassiamo e iniziamo a preparare gli ingredienti a noi utili per la preparazione del nostro piatto.
Timo, rosmarino, salvia e santoreggia sono le erbe aromatiche utili e necessarie per regalare al nostro vitello un sapore pieno e gustoso. Una volta sminuzzate le erbe, prendiamo dello strutto, aglio, vino bianco, olio, sale e pepe. Stendiamo all’interno della pancia un leggero strato di strutto e ci cospargiamo sopra il nostro bel mix di erbe battute con aglio, poi aggiungiamo un po’ di sale e del pepe. Arrotoliamo poi la pancia e la leghiamo con lo spago da cucina (questa tecnica la usiamo per fargli mantenere una forma regolare e perfetta durante la cottura, prima in padella, in forno poi!). Una volta legata, cospargiamo esternamente la carne con lo strutto e con lo stesso battuto di erbe usato per la farcitura, mettiamo il vitello arrotolato a rosolare in una casseruola capiente con un poco di olio d’oliva, e una volta rosolato, lo mettiamo su una teglia da forno, irrorando con un po’ di vino bianco. Inforniamo a circa 180°/200° nel forno a legna, lasciamo cuocere per un’ora e mezza e aggiungiamo poi dell’altro vino bianco che completerà la cottura del vitello per le successive ore nel forno.
Ogni due ore controlliamo la temperatura all’interno del nostro vitello arrotolato; dopo le prime 4 ore abbiamo una cottura media, che si aggira intorno ai 55°, controlliamo poi per le successive ore la nostra temperatura fino ad arrivare a quella che desideriamo, ovvero circa 78°. Ovviamente il tempo di cottura varia dalle dimensioni del pezzo di carne che andiamo a lavorare, più grande sarà più tempo impiegherà a cuocere.
Una volta cotto, lo tiriamo fuori dal forno e lo lasciamo raffreddare a temperatura ambiente, se vogliamo poi servirlo in un secondo momento, o possiamo tagliarlo nell’immediato e servirlo direttamente, irrorandolo con la salsa di cottura e un filo di olio a crudo sopra. Una delle sue caratteristiche infatti è la sua resa, il vitello in porchetta è ottimo sia se servito caldo, sia se servito freddo.
A noi piace servirlo con una decorazione di glassa di aceto balsamico, che dona al piatto un contrasto agrodolce molto delicato e piacevole al gusto, o con un contorno di verdure stagionali del nostro orto.
La cottura “in porchetta”, è una cottura tipica della cucina del centro Italia, si caratterizza nel nostro ristorante per l’uso del timo e della santoreggia freschi, due ingredienti indispensabili alla riuscita del nostro vitello! Il procedimento di cottura, era utilizzato in origine per cucinare un maiale svuotato e disossato, ma offre piatti gustosi anche con altri tipi di carne, come ad esempio il coniglio (proprio uno degli ultimi piatti arrivati nel nostro menù).
Se avete voglia di provare questo piatto e avete bisogno di qualche consiglio in più non esitate a contattarci =)
Succo di 2 arance
Buccia grattugiata di un’arancia
3 uova
240 gr di zucchero
65 gr di olio di semi
300 gr di farina
1,5 cucchiaino di zenzero in polvere
1 bustina di lievito
Per il frosting:
250g di formaggio spalmabile
250 ml di panna fresca
100 gr di zucchero a velo
cocco grattugiato per decorare
di Giusy Pietrangeli
Separare i tuorli dagli albumi, montare a neve quest’ultimi.
Sbattere i tuorli con lo zucchero, unita la scorza grattugiata ed il succo di arancia e lo zenzero. Poi l’olio, la farina setacciata con il lievito e infine gli albumi mescolando con una spatola dal basso verso l’alto.
Versate il composto in uno stampo a cerniera da 20 cm e infornate a 170° a 35/40 min.
Ora passiamo alla preparazione del frosting per il ripieno:
Montate la panna con lo zucchero a velo, unite il formaggio fresco e lasciate riposare almeno un’ora.
Sfornata la torta e lasciata raffreddare, tagliatela in tre strati e farciteli ognuno con la crema preparata.
Servite con una spolverata di cocco grattugiato.
In una planetaria lavoriamo a crema il burro con lo zucchero, poi aggiungiamo la farina, l’uovo, il lievito e iniziamo ad impastare formando un composto a briciole
In una ciotola lavoriamo la ricotta con lo zucchero fino ad avere un composto cremoso; aggiungiamo il cioccolato ridotto a scaglie e mescoliamo.
Imburriamo una teglia da 24 cm o 26 cm e versiamo 2/3 dell’impasto a briciole precedentemente preparato. Uniamo il composto di ricotta e cioccolato e livelliamolo.
Ricopriamo con il rimanente impasto e cuociamo in forno statico a 180° per 40 minuti. Quando la superficie sarà dorata, la vostra torta sarà pronta. Una volta raffreddata cospargiamo la superficie di zucchero a velo e serviamo.
La storia
…della pizza, la tradizione italiana e la nostra ricetta base.
Insieme alla pasta e al pane, la pizza è sicuramente il prodotto gastronomico italiano più famoso e diffuso nel mondo. Rapida da preparare, economica, nutriente e gustosa, la pizza è un alimento semplice e nello stesso tempo completo ed equilibrato, perfetta per una cena in famiglia, per party e buffet all’aperto o per una semplice merenda.
Il nome di questa famosissima preparazione sembra derivare dalla sua forma, ovvero dal termine “pinsa”, participio passato del verbo latino “pinsere”, che significa” schiacciare, pressare”.
Nata come focaccia di pane con diversi ingredienti di complemento, è sempre stata un cibo per i poveri, a causa della sua estrema semplicità. Con l’introduzione del pomodoro, venuto dalle Americhe, è aumentata la sua popolarità, tanto da diventare il piatto più diffuso a Napoli fin dal XVI secolo. La pizza, nelle forme e nei gusti che conosciamo oggi, si è delineata nel XIX secolo. Secondo la tradizione, in occasione di un viaggio a Napoli della regina Margherita di Savoia, nel 1889, il pizzaiolo Raffaele Esposito ha inventato la “pizza Margherita”, con i tre colori della bandiera italiana: verde (basilico), bianco (mozzarella) e rosso (pomodoro). E’ questa la pizza più popolare e diffusa e da quel momento è nata una tradizione che ha visto numerose varianti (tra cui il calzone, una pizza ripiegata e chiusa), con i contributi dei sapori e delle specialità di ogni parte d’Italia.
È recente inoltre il riconoscimento di immenso prestigio dell’Unesco che ha ottenuto la pizza di Napoli, diventando patrimonio dell’umanità; un bene, insieme all’arte dei pizzaioli, che deve essere tutelato ad ogni costo.
La pizza, già nella sua versione originale, si presenta come un piatto unico, grazie ai carboidrati forniti dalla farina, alle vitamine del pomodoro, alle proteine nobili di origine animale della mozzarella e al giusto apporto di grassi assicurati dall’olio d’oliva extravergine. Se poi a questi ingredienti base si aggiungono come condimento delle verdure, grazie ai sali minerali e alle fibre fornite da queste ultime si può affermare di essere di fronte a una preparazione perfetta dal punto di vista dell’equilibrio dietetico.
La pizza napoletana è quella più famosa, con i bordi alti e morbidi, ma altre tradizioni italiane hanno prodotto tipologie diverse: pizza sottile e croccante, pizza al taglio, pizza alla pala. Gli ingredienti sono gli stessi, ma la forma e la modalità di cottura conferiscono un sapore diverso alle varie pizze. Inoltre, negli ultimi anni, per venire incontro alle esigenze e ai palati più diversi, molte pizzerie stanno sperimentando impasti con farine integrali, di solina, senza glutine, al kamut e così via.
Preparare una buona pizza è un’arte, che si esprime nella bontà dell’impasto di base oltre che nella qualità degli ingredienti che la condiscono.
La nostra pizza ha una preparazione base veloce e facile da realizzare. Come da tradizione il nostro impasto prevede l’utilizzo per ogni chilogrammo di farina 0 (di nostra produzione), di 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva, 5 gr di lievito, 5 dl di acqua tiepida e 10 gr di sale e miele.
Dopo aver preparato il lievito in una terrina e averlo fatto sciogliere nell’acqua tiepida, si aggiunge la farina a pioggia e la si amalgama un poco, quindi si unisce l’olio, il sale sciolto in un poco di acqua a temperatura ambiente e si lavora il composto fino ad ottenere un composto liscio, omogeneo ed elastico; si formano quindi, dei panetti da circa 250 grammi, si distribuiscono su una teglia ben infarinata, si cospargono di farina anche le palline formate, si coprono con un telo e si fanno lievitare per almeno 3 ore a temperatura ambiente (22° circa). Trascorso questo tempo, se si ha la possibilità, si può decidere di cuocere direttamente nel forno a legna (come nella nostra cucina!), oppure si stende direttamente il panetto su di una teglia ben oleata e, una volta condita a proprio piacimento, cuocerla nel forno, rigorosamente statico (altrimenti tenderà ad asciugarsi troppo con quello ventilato), con una temperatura di circa 250°.
La cottura del forno a legna ovviamente è una cottura molto veloce, direttamente sulla pietra cuoce in circa 5 minuti, mentre nel forno comune che abbiamo in casa il tempo previsto è di circa 20 minuti. Se posso darvi un consiglio, per evitare una secchezza eccessiva della pasta, si può tenere per 15 minuti nel forno accesso e già a temperatura, una teglia con 1 litro di acqua, che evaporando renderà umido l’ambiente, togliendola appena prima di infornare la pizza.
La nostra pizza ha un gusto semplice e ricco allo stesso tempo, fragrante, delicato e genuino grazie soprattutto alle materie prime che utilizziamo, provenienti direttamente dalle nostre produzioni.
La pizza che ci rappresenta in assoluto ovviamente è la Pizza Timo, con una base di pomodoro (condito con olio extravergine di oliva, sale, pepe e origano) e porcini, una volta impiattata poi si cosparge con del timo fresco. Prodotti esclusivamente tipici della nostra terra che donano alla pizza un profumo estasiante.
Provate il nostro impasto e fateci sapere cosa ne pensate!
Procedimento:
Sbattere le uova con lo zucchero, aggiungere il burro sciolto, il cioccolato fondente fuso a bagnomaria e infine la panna liquida.
Amalgamate il tutto con lo sbattitore elettrico e versate il composto nei pirottini imburrati e cosparsi di cacao.
Infornate a 180° per 8 minuti (non un minuto in più altrimente il tortino cuocerà anche il cuore che invece deve rimanere cremoso!)
Cospargete con zucchero a velo!
Procedimento:
In una planetaria mettete tutti gli ingredienti, l’uovo, lo zucchero,1/2 bicchiere di latte, 1/2 bicchiere di olio,la scorza grattugiata del limone, la farina, il lievito e amalgamate il tutto.
Nel frattempo sbucciate le mele e tagliatele a tocchetti, versatele direttamente nell’impasto precedentemente preparato e amalgamate ben bene.
Foderate uno stampo a cerniera di 24 cm e versatevi l’impasto con le mele. Cospargete con i pinoli e scaglie di mandorle e infornate a 180° per 30/40 min, fate la prova stecchino prima di sfornare.
Servite con abbondante zucchero a velo.
Come fare il pane secondo tradizione. Cenni storici e procedimento
Leggi anche: come fare il pane di Solina
Il pane è l’alimento autentico e tradizionale per antonomasia, tanto da essere divenuto sinonimo di cibo e vita. È infatti ormai diventato un alimento base della civiltà occidentale, prendendo un posto fondamentale nella tradizione mediterranea come componente primario dell’alimentazione. Nella cucina più antica si usava il termine cumpanaticum (companatico) per indicare ogni preparazione che poteva accompagnarsi al pane, sottolineando appunto il suo ruolo fondamentale.
Le sue origini affondano nei primordi della civiltà, infatti la coltivazione e l’uso dei cereali risale al Mesolitico, quando i chicchi di grano venivano pestati e mescolati con l’acqua, mentre l’aggiunta degli agenti lievitanti risale all’epoca degli Egizi, narrata anche dalla Bibbia. Dal Medio Oriente poi la lavorazione del pane si diffuse in tutto il Mediterraneo, come dimostrano i forni comuni che iniziarono ad essere costruiti inizialmente nella Penisola Greca.
La panificazione nel corso dei secoli si è evoluta, tramandando anche gesti e conoscenze, fino a diventare una cultura vera e propria, tanto da gettare le basi della civiltà; infatti quando le popolazioni iniziarono la coltivazione dei cereali, con l’obiettivo unico di garantire a sé stessi la fonte principale di sostentamento, migliorarono prima di tutto le condizioni della vita e di conseguenza iniziò ad aumentare la popolazione.
Dopo vari secoli di evoluzioni delle tecniche produttive, innovazioni agrarie e scoperte scientifiche, abbiamo ereditato una ricchissima varietà di tipologie di pane, ottenute scegliendo e unendo ingredienti semplici come farina, acqua, sale e lievito. L’uomo ha dato vita a quella che oggi definiamo arte bianca, garantendo a sé stesso e alle generazioni future un sostentamento genuino e ormai irrinunciabile.
Il pane è composto da pochissimi semplici ingredienti, e grazie ai contatti con le altre culture e le diverse tradizioni, nel corso dei secoli sono nati moltissimi tipi di pane, anche dalle forme più svariate. Ci sono anche alcuni tipi di pane detti speciali, ovvero quei tipi di pane realizzati con farine diverse da quelle solite, come la farina di solina, di segale, di soia, integrale, e via dicendo; sono ritenuti pani speciali anche quelli che nell’impasto hanno l’aggiunta di ingredienti aromatizzanti o grassi.
I sistemi di lavorazione del pane sono molteplici, e ogni tipologia di pane ha la sua tecnica di lavorazione, ma i due sistemi per eccellenza, per realizzare l’impasto base del pane casereccio, sono comunque due: il sistema diretto e quello indiretto.
Il sistema diretto prevede una lavorazione unica, con l’aggiunta degli ingredienti in un’unica fase, fino a formare un impasto ben amalgamato ma non omogeneo, per poi essere rimpastato.
Il sistema indiretto invece prevede due fasi di lavorazione. Nella prima fase si prepara un composto a base di acqua, farina e lievito che può essere asciutto e quindi viene chiamato Biga, se invece questo impasto risulta semiliquido si chiama Poolish, e viene lasciato fermentare. Nella seconda fase, a questo primo “lievitino” vengono aggiunti tutti gli altri ingredienti.
In entrambe i sistemi (diretto e indiretto), una volta formato l’impasto, esso viene lasciato riposare. Dopo la fase di riposo viene suddiviso, dandogli la forma preferita e lasciato fermentare di nuovo per il tempo necessario.
Noi utilizziamo un sistema diretto lungo per la produzione del pane che accompagna i pasti nel nostro ristorante.
Secondo la nostra tradizione l’impasto prevede l’utilizzo di farina e acqua pari 1:2. Vale a dire che per il nostro impasto utilizziamo mezzo litro di acqua per ogni chilogrammo di farina (un mix di farina di grano tenero e di semola, esclusivamente di nostra produzione).
Dapprima facciamo sciogliere il lievito in acqua tiepida, nel frattempo mescoliamo per bene le farine e a poco a poco aggiungiamo l’acqua, lasciamo riposare per qualche minuto (giusto il tempo che si idrati bene), poi aggiungiamo l’olio, lo zucchero, e infine sale e lievito, fino formare un impasto ben amalgamato ed omogeneo. Lasciamo riposare l’impasto in un contenitore apposito chiuso, e dopo la prima fase di lievitazione (che, in questo sistema diretto lungo, dura circa 12 ore), lo suddividiamo in pagnotte, gli facciamo dei tagli trasversali sulla parte superiore e lasciamo nuovamente riposare le nostre pagnotte, coperte da un panno traspirante per circa un paio d’ore!
Terminata la seconda fase di riposo, le inforniamo nel forno a legna, che rende il pane ancor più aromatico e fragrante, con una temperatura intorno ai 220°/250°; le pagnotte restano in forno, rigorosamente chiuso, per un’ora circa. Una volta sfornato, lasciando un odore inconfondibile di buon pane cotto che si sparge dappertutto… lasciamo raffreddare il pane in un luogo fresco e asciutto.
Il pane che produciamo è uno di quei pani detti speciali, poiché ogni giorno nell’impasto viene aggiunto un aroma diverso; infatti alterniamo giornalmente il pane alle olive (che, grazie agli oli rilasciati dalle olive, tende ad essere particolarmente morbido), il pane alle noci (uno dei pani più graditi dai nostri clienti!) e quello alle erbe, l’ultimo pane nato nel nostro ristorante, che nell’impasto ha una particolare aggiunta di un mix di erbe aromatiche (timo, rosmarino, santoreggia, origano, maggiorana, timo limone) che dona al pane un gusto unico e particolare.
Venite ad assaporare la freschezza e la genuinità dei nostri pani unici!
La Pecora alla Cottora è un piatto semplice ma dalla lunga preparazione e dal sapore unico. Nella marsica viene detta “la pecora ajio cotturo”.
Cenni storici del piatto
La “cottora" e’ il paiolo (pentolone in rame) degli antichi pastori retto da un treppiede e da una catena con gancio che viene posto sopra il fuoco di legna; era utilizzato durante la transumanza ed oggi è presente in molte case come cimelio delle generazioni passate. Ovviamente, oggi non viene più utilizzato e nel caso nostro utilizziamo pentole in alluminio oppure in acciaio.
In passato, durante le transumanze, venivano utilizzati i capi azzoppati, i più malandati, le pecore “sterpe”, cioè sterili. La preparazione avveniva all’aperto, come ancora oggi in alcune rievocazioni e feste celebrative della transumanza.
La ricetta della pecora “alla cottora” affonda le sue radici nella tradizione pastorale (alcuni cenni si ritrovano dal Regno di Napoli del 1597).
La ricetta
In passato, prima della lessatura le carni venivano lasciate a marinare per una notte insieme alle erbe aromatiche raccolte durante il cammino (in transumanza), poi si provvedeva alla bollitura per diverse ora fino a quando la carne non diventava tenera.
In generale il procedimento di preparazione prevede la lessatura della carne in acqua bollente, schiumando le impurità, poi va scolata, sciacquata di nuovo in acqua calda e nuovamente scolata, per poi essere rosolata in olio con tutte le spezie e gli odori. La ricetta originale non prevede pomodoro, ma secondo i gusti si può aggiungere la salsa per renderla ancora più “saporita“.
Riassumendo quindi: Tagliate la carne a pezzi non troppo grandi ed eliminate le parti troppo grasse. Utlizzando due pentoloni che possano contenere la pecora tagliata, mettete dentro uno dei due pentoloni i pezzi, qualche foglia di alloro e versate l’acqua (non salate) che dovrà coprire il tutto, accendete e fate cuocere da quando bolle 4 ore circa aggiungendo acqua calda man mano che servirà. Mescolate spesso e con l’aiuto di uno scolino eliminate il grasso (in forma di schiuma) dalla superficie dell’acqua.
Durante la bollitura, nell’altro pentolone, aggiungete il vino bianco, l’acqua i pachino tagliati in due, il sedano tagliato a pezzi , l’olio d’oliva, la cipolla tritata, le carote tagliate a rondelle, l’aglio, la salvia, il rosmarino e le foglie d’alloro e il sale q.b.
Al termine delle 4 ore spegnete e scolate i pezzi di carne e versateli dentro l’altro pentolone, dove avete già preparato la salsa per aromatizzare la carne. Fate cuocere il tutto a fuoco lento da quando bolle per un’ora.
Lasciate riposare per una ventina di minuti e servite in ciotole di coccio.
Potrete utilizzare il sugo di cottura per condire della pasta come delle mezze maniche o delle fettuccine, aggiungendo del pecorino e del peperoncino.
Pasta fresca all’uovo e come nascono i nostri primi piatti
I primi piatti asciutti di pasta fresca, detti anche farinacei, si ottengono principalmente dalla lavorazione di farine ricavate dai cereali, e, fra tutti i farinacei, la pasta occupa un ruolo importante nella cucina italiana; non esiste infatti regione che non annoveri tra le proprie specialità almeno un primo piatto di pasta.
Questa importanza deriva dal fatto che, nell’alimentazione delle società rurali e povere, il piatto di pasta costituiva la parte fondamentale di un’unica portata; le paste infatti venivano condite con il sugo della carne o del pesce, oppure semplicemente abbinate a verdure e legumi (combinazione tipica della dieta mediterranea e nutrizionalmente corretta).
Le paste alimentari si possono classificare in paste secche, fresche (all’uovo o di grano duro), ripiene e gratinate.
Il nostro ristorante all’interno dell’agriturismo produce esclusivamente pasta fresca all’uovo, e paste ripiene, soprattutto negli eventi organizzati per banchetti, quali cerimonie e feste organizzate.
La nostra pasta fresca è un impasto ottenuto da una farina di grano tenero e di semola, prodotti dal nostro agriturismo e macinati dal vicino mulino Amiconi di Magliano dei Marsi, lavorato con uova di nostra produzione, grazie alle galline presenti nel pollaio che giornalmente producono circa una trentina di uova, consentendo così alla brigata della cucina di preparare piatti unici, freschi e genuini.
Essendo una pasta fresca, la nostra pasta non viene sottoposta al processo di essiccazione e la sua umidità può raggiungere anche il 30%, e viene conservata nelle nostre celle frigorifere per un massimo di cinque giorni, garantendo la freschezza del prodotto ogni settimana.
Le farine che utilizziamo, come già detto di nostra produzione, hanno delle caratteristiche particolari, e delle specifiche proprietà reologiche, che durante l’impasto, la lievitazione e la cottura sono fondamentali per la riuscita dei nostri prodotti. Ovviamente oggi parliamo della produzione della pasta all’uovo, ma non dimentichiamo che siamo produttori per uso ristorativo anche di pane, pizza e dolci (argomenti che tratteremo successivamente).
Queste farine hanno una forza media (160-250W), permettendo un uso generico nella nostra cucina, grazie alla necessità media di liquidi che riescono ad assorbire (uova per pasta e dolci, acqua e olio per pane e pizza), dando così agli impasti specificità importanti quali: elasticità, estensibilità, tenacità e viscosità.
Secondo la nostra tradizione l’impasto prevede l’utilizzo di farina e uova pari 1:1.
Cosa vuol dire?
Noi, per i nostri impasti utilizziamo un uovo per ogni ettogrammo di farina. Questo tipo di impasto è utilizzabile per tutte le paste lunghe, le lasagne, i maltagliati (che nel nostro ristorante sono meglio conosciuti come Pezze, nell’esclusiva ricetta delle “Pezze del Timo”, che sono tra l’altro uno dei nostri piatti principi e più amati), e paste corte come i quadrucci. Per le paste ripiene invece (quali ad esempio: i ravioli, i cannelloni, gli agnolotti), l’impasto per essere ben lavorato, e soprattutto per evitare che si asciughi durante la preparazione, si lavora con un liquido maggiore affinché non risulti troppo duro evitando così la rottura durante la cottura.
L’impasto come vi ho anticipato è molto semplice, la cosa più importante però è la sua lavorazione.
Una volta amalgamati per bene gli ingredienti, bisogna infatti lavorare con il palmo della mano la pasta per almeno 10 minuti in modo molto energico, infarinando di tanto in tanto la spianatoia (ovviamente di legno 12). Al termine della lavorazione l’impasto risulterà liscio ed omogeneo, abbastanza consistente ed elastico. Prima della stesura però l’impasto avrà bisogno di riposare per circa 20 minuti, coperto da una pelli
cola o comunque al riparo dall’aria, per evitare che si crei una crosticina fastidiosa poi per la stesura della pasta stessa. Al momento di dare il formato che si desidera, la pasta dovrà risultare né troppo morbida (perché tenderebbe ad attaccarsi) né troppo secca (perché tenderebbe a rompersi). Una volta che avete “tirato” la vostra sfoglia con il mattarello (operazione che richiede forza e abilità manuale) dandovi una sfoglia più rugosa, riuscendo tra l’altro a trattenere meglio il condimento, o con la sfogliatrice (che semplifica e velocizza il vostro lavoro); tagliate o modellate la pasta a seconda delle vostre necessità. Ricordatevi però che questa va lasciata ad asciugare senza sovrapporla, altrimenti attaccherebbe, e per evitare che si attacchi la si può cospargere con un po’ di farina. Queste sono delle piccole accortezze, ma che vi daranno degli ottimi risultati.
La pasta all’uovo già di per sé è ottima se presentata nei modi usuali, con condimenti anche molto semplici, come un sugo al basilico fresco, con delle erbe aromatiche (come ad esempio i nostri Tagliolini alle Erbe, che sono un bel mix di odori e sapori unici ed energici), o semplicemente con un condimento semplice di burro e parmigiano; ma raggiunge la sua massima succulenza quando in essa racchiude uno di quei ripieni che danno vita a piatti incredibilmente ricchi di fantasia e gusti squisiti, come i ravioli, i cannelloni, gli agnolotti, i tortellini con farce che possono essere a base di carne, formaggio, verdure o pesce; nel nostro caso prediligiamo i ripieni di formaggi, carni e verdure che sono di nostra produzione!
Non vi resta che provare i nostri accorgimenti e soprattutto venire a provare i nostri primi piatti di pasta all’uovo!
Vi aspettiamo!