C’è differenza fra lottare per il risultato migliore e sfiancarsi per la perfezione. Il primo atteggiamento ha un obiettivo raggiungibile ed è gratificante e salutare; il secondo ha una meta spesso irraggiungibile ed è frustrante e fonte di nevrosi. Per di più comporta un assurdo spreco di tempo.....
Nella cultura popolare le zuppe rappresentano un primo piatto “povero” della tradizione contadina. La storia di questa preparazione risale addirittura ai primordi della gastronomia, quando, insieme a rudimentali focacce preparate con grano macinato e acqua, gli uomini si cibavano di elementari zuppe a base di legumi ed acqua, e solo in alcuni casi fortunati, di carne.
Con il tempo, con le mutate e migliorate condizioni economiche le zuppe si sono via via arricchite di ingredienti più sostanziosi e raffinati. Questo è avvenuto anche grazie alla recente rivalutazione dei cosiddetti “cibi poveri”, che oggi risultano recuperati e proposti in diverse occasioni, che possono essere semplici pranzi di famiglia o possiamo ritrovarle non solo in agriturismi, come da noi, ma anche nelle tavole dei ristoranti più eleganti.
A testimonianza della popolarità e della vitalità di queste pietanze, compaiono, nella tradizione gastronomica italiana, una serie innumerevole di ricette di minestre, zuppe e creme preparate con ingredienti diversi (dalla carne al pesce, dalle verdure ai formaggi), dando vita a piatti straordinari, in molti casi semplici e genuini, in altri casi elaborati e raffinati, ma che si rifanno tutti all’antica cucina popolare, nel pieno rispetto delle varie tradizioni regionali o rivisitandole in chiave moderna. Alternativa ai primi piatti di pasta o riso, le minestre e le zuppe si prestano a tutte le occasioni, come abbiamo già anticipato, dai pranzi di famiglia informali alle cene più eleganti. Nel primo caso si tratta in genere di preparazioni rustiche, a base di ortaggi e legumi, come la classica Pasta e fagioli o i Gnocchetti con i ceci, mentre nei menu più ricercati compaiono solitamente consommé, creme e vellutate o anche raffinate zuppe a base di pesce. Contrariamente a quanto si pensa, le zuppe e le minestre si prestano anche ai pranzi estivi, con preparazioni che si servono fredde, come il Gazpacho o la Zuppa fredda di verdure crude. Di regola, le zuppe o le minestre, all’interno di un pranzo, vanno servite dopo l’antipasto e seguite da un secondo piatto, ma alcune preparazioni invece, per la ricchezza e il conseguente rapporto nutrizionale, costituiscono un piatto unico, come ad esempio le zuppe con base di carne di maiale, o di pesce, che da sole rendono già completo un pasto. Il termine zuppa sembra derivare dalla parola gotica “suppa”, che significa “fetta di pane inzuppata”. Durante il medioevo infatti, la fetta di pane non serviva come accompagnamento per gli altri cibi, ma veniva utilizzata come piatto su cui poggiare le varie pietanze. Le fette poi così insaporite, venivano cotte in acqua o in brodo per il pranzo della servitù. La zuppa di oggi ha mantenuto le sue origini, ed è infatti accompagnata da fette di pane generalmente tostate (che siano crostini o bruschette), poste accanto o alla base della zuppa stessa, e, a seconda della ricetta, si possono utilizzare, per esempio, un pane integrale, di segale o come nel nostro caso,il pane di solina, dando alla ricetta un sapore ancor più genuino e rustico. Preparare una zuppa non è così complicato, l’unica cosa che in realtà rende complicata questa preparazione sono i tempi e i modi di cottura. Generalmente queste pietanze vengono cotte in casseruole alte, l’importante è che siano di rame o acciaio inox, o meglio ancora in recipienti di terracotta, che assorbendo e rilasciando il calore molto lentamente ben si prestano alle cotture lunghe, soprattutto nel caso delle zuppe di legumi. Una delle nostre zuppe più ricercate è quella di lenticchie (di nostra produzione), semplice, genuina, rustica e veloce. Ogni volta cerchiamo di renderla unica e diversa da quelle precedenti aggiungendo e arricchendola di nuovi elementi. Di seguito vi riporto la ricetta completa della nostra zuppa base di lenticchie, alla quale potrete aggiungere qualsiasi ingrediente voi desideriate! Ingredienti per 4 persone: -100 grammi di lenticchie rosse -200 grammi di pomodori maturi -una carota media -una cipolla -una costa di sedano -due cucchiai di olio extravergine d’oliva -uno spicchio d’aglio -qualche fogliolina di timo, rosmarino e maggiorana -una foglia di alloro -sale e pepe
Procedimento: Mettete in ammollo le lenticchie in acqua tiepida per almeno 8 ore. Sgocciolatele e sciacquatele, mettetele in una pentola con un litro e mezzo di acqua e cuocetele per un’ora circa. Nel frattempo, fate soffriggere nell’olio, in una casseruola a parte, tutti gli odori e le erbe aromatiche, e aggiungete i pomodori tagliati a pezzi. Una volta pronto il soffritto con i pomodori aggiungete le lenticchie, scolate dalla bollitura, un litro di brodo vegetale, regolate di sale, pepate e proseguite la cottura per circa 30 minuti. Preparate nel frattempo delle fette di pane, tagliatele a cubetti, accendete il forno a 250°, distribuite i cubetti di
pane su una teglia e infornate per circa 10 minuti, giusto il tempo che si dorino per bene i crostini. Una volta pronta la zuppa, servitela ben calda con una sbriciolata di crostini sopra e un filo d’olio, e il gioco è fatto!
Un consiglio… Se volete rendere il vostro piatto più appetitoso, nella prima fase di soffritto degli odori, aggiungete un pezzo di lardo o di pancetta, oppure aggiungete una sbriciolata di salsiccia e sentirete che bontà!
Caratterizzata da una grande versatilità, la polenta si associa ai sapori più diversi, dando luogo a una ricca serie di preparazioni, legate soprattutto alla tradizione gastronomica dell’Italia settentrionale. È infatti un antichissimo piatto di origine italiana a base di farina di cereali e pur essendo conosciuto nelle sue diverse varianti pressoché sull’intero suolo italiano, ha costituito, in passato, l’alimento di base della dieta delle persone in alcune zone settentrionali alpine, prealpine, pianeggianti e appenniniche, apprezzata molto anche al centro e al sud Italia.
La polenta dà vita più che a un primo piatto a un piatto unico, essendo servita per lo più in accompagnamento a stufati, brasati o sughi di carne oppure a ricche preparazioni di uova e formaggi o intingoli vari con verdure o anche pesce.
La polenta si prepara tradizionalmente con farina di mais e/o di grano saraceno. Per un sapore più particolare si posso realizzare originali piatti a base di polenta con altri tipi di farina, come ad esempio quelle di ceci e di castagne.
La farina utilizzata più comunemente, è quella di mais, detta anche di granturco o farina gialla. A seconda del tipo di macinatura, la farina può essere a grana grossa macinata a pietra (sbramata o bergamasca) e a grana fine (fioretto). Noi utilizziamo la farina di mais, di nostra produzione, a grana grossa, macinata a pietra in un mulino vicino al nostro agriturismo. Questo tipo di farina ci permette di preparare una polenta soda e consistente, e richiede una cottura prolungata.
Per realizzare una buona polenta, occorre rispettare alcuni semplici regole. La prima fra tutte riguarda la dose di acqua e farina da utilizzare: solitamente la proporzione è di 1,5 l d’acqua ogni 400 gr di farina circa, dipende dalla grana della farina, più è grossa maggiore quantità di acqua richiederà, più è fine minore quantità di acqua occorrerà. Nel caso in cui ci si rende conto che la quantità di acqua è insufficiente durante la mescolatura si piò aggiungere dell’acqua calda e proseguire con la mescolatura.
Il procedimento è semplice, infatti una volta calcolata la giusta quantità di acqua, la si porta ad ebollizione nel paiolo, e si aggiunge il sale (10 gr per ogni litro di acqua). A questo punto si fa cadere la farina nell’acqua a pioggia, abbastanza rapidamente per non far abbassare bruscamente la temperatura dell’acqua in ebollizione, e mescolando velocemente con l’apposito legno, un cucchiaio di legno o una frusta per evitare la formazione di grumi. Una volta incorporata la farina all’acqua, bisogna proseguire la cottura mescolando con energia con un movimento rotatorio continuo, fino a fine cottura. La cottura della polenta deve avvenire per i primi 30 minuti circa a fuoco vivo, di modo che sulle pareti e nel fondo del paiolo si formi una crosticina da cui la polenta dovrà staccarsi facilmente. Quando la polenta inizia a staccarsi dalle pareti la cottura dovrà proseguire per circa 40 minuti a fuoco lento. Questo tempo non varia per la quantità di polenta ma varia per il tipo di farina utilizzato, se a grana grossa il tempo viene portato a un’ora e 45 minuti, per quella a grana fine invece scenderà a un’ora di cottura totale. È importante ricordare che al termine della cottura non bisogna mai aggiungere il sale, in quanto la farina di mais è di per sé dolce e di conseguenza il sale non verrebbe assorbito in maniera uniforme. Una volta cotta la polenta va impiattata, nel più classico dei modi sul tagliere di legno apposito, oppure come noi, la serviamo in dei piatti allungati monoporzionati con il classico sugo con salsicce e spuntature, che troverete anche questa settimana nel nostro menù, ma ogni tanto ci piace servirla con condimenti particolari come funghi champignon e porcini e primo sale, oppure speck e provola. Ma si può condirla come meglio si preferisce, con sugosi spezzatini di carne, sfiziosi funghi trifolati o cremosi formaggi per creare pietanze robuste e appetitose come la polenta con salsiccia e formaggio o gustosi piatti di recupero come il timballo di polenta e cotechino!
Un consiglio…
Una volta preparata, la polenta può essere conservata in frigo per un paio di giorni, purché lasciata prima raffreddare a temperatura ambiente e poi avvolta in una pellicola e messa in un contenitore. Così conservata, può essere poi tagliata a fette e fritta in padella in abbondante olio ben caldo, o abbrustolita sulla brace o su una padella grigliante e utilizzata come fosse un crostone o una bruschetta, oppure tagliata a fette e messa su di una teglia, condita a piacere e infornata per circa venticinque minuti in forno caldo a 180°! Accompagnate la polenta con ciò che più vi piace, carni, verdure, pesce, l’importante è che ci sia abbondante sugo cremoso nel quale intingere la vostra polenta.
I più noti e classici sono quelli di patate, ma in realtà i tipi di gnocchi presenti nella tradizione gastronomica italiana sono tanti e si diversificano, sia per gli ingredienti utilizzati, sia per la modalità di preparazione dell’impasto. Si tratta di un antico piatto di origine popolare, semplice e sostanzioso, composto da ingredienti “poveri”. Con il termine “gnocchi” si indicano pezzetti di pasta a forma tondeggiante preparati con patate cotte impastate con la farina, oppure preparati con altri ingredienti, come il semolino, il pane, poi ci sono gli gnocchi soffiati, quelli di ricotta e spinaci, di zucca, ecc. Quelli più conosciuti sono quelli di patate, e pur avendo in Piemonte e nel Veneto i due maggiori centri di diffusione, gli gnocchi di patate sono molto popolari e consumati in tutta Italia. Si possono condire in mille modi, dai ragù di carne o di pesce a varie combinazioni di verdure, dalla salsa di pomodoro a salse a base di formaggio, oltre che semplicemente con burro e parmigiano. Prepararli in casa non è difficile, ma bisogna procedere nel modo corretto, seguendo alcune semplici regole, la prima delle quali riguarda la scelta delle patate più adatte. Le patate più indicate infatti sono quelle “farinose”, caratteristica tipica di alcune varietà di patate a pasta gialla e di quelle a pasta bianca. Sconsiglio vivamente l’utilizzo di patate novelle, perché essendo molto acquose assorbirebbero troppa farina, rendendo gli gnocchi gommosi.
Come farli Una volta scelte le patate giuste, bisogna lavarle accuratamente, metterle in una casseruola, coprirle con acqua fredda e lessarle poi a fuoco non forte per 20-30 minuti dall’inizio dell’ebollizione. Per capire se sono cotte con i lembi della forchetta basta pungerle e se non si sente resistenza fino al centro della patata allora saranno cotte. Dopo essere state sgocciolate dall’acqua di cottura, vanno sbucciate il prima possibile ed evitare che si raffreddino troppo per la lavorazione, che risulterebbe più difficile. Una volta sbucciate si passano allo schiacciapatate e si lascia intiepidire il passato di patate, si aggiunge poi la farina (250 gr ogni chilogrammo di patate) e un pizzico di sale.
Con le mani si lavora il composto velocemente, prima che il passato si raffreddi del tutto, fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. Se l’eccessiva umidità delle patate dovesse portare a sfaldare l’impasto durante la lavorazione si può aggiungere un uovo. Una volta ottenuto un impasto compatto e soffice se ne ricavano tanti cilindri di circa 1,5 cm di diametro, facendo rotolare piccole parti di impasto a una a una sulla spianatoia infarinata, li si taglia a pezzetti di 2-3 cm circa di lunghezza, ottenendo così gli gnocchi “lisci”. Per ottenere uno gnocco rigato, occorre premere con il pollice al centro di ogni pezzetto di pasta e passarlo sul “rigagnocchi”, oppure si possono utilizzare semplicemente i lembi di una forchetta inumiditi. Man mano che si preparano gli gnocchi vanno allineati su vassoi ben infarinati fino al momento della cottura.
Gli gnocchi vanno cotti in abbondante acqua salata in leggero bollore, e una volta che salgono a galla si sgocciolano con un mestolo trasferendoli nella pirofila, se vanno ripassati in forno, o nella padella se vanno saltati col condimento scelto. Noi utilizziamo solo ingredienti prodotti da noi stessi, le patate sono quelle che coltiviamo, la farina è quella che deriva dalle nostre coltivazioni di grano, poi macinata in un mulino qui vicino, e le uova sono delle nostre galline. Nel nostro menù gli gnocchi sono presenti giornalmente, nelle salse più classiche, ma ci divertiamo ogni tanto a combinare sapori diversi per rendere i nostri gnocchi particolarmente gustosi ed unici. Un piatto semplice e altrettanto delicato inserito da poco nel nostro menù, sono gli gnocchi conditi con una salsa di menta, zenzero e limone. Una salsa semplice da realizzare, briosa, fresca e sempreverde. Si uniscono degli elementi che donano al piatto freschezza e genuinità. Per la realizzazione della salsa basta preparare un mix di scorza di limone, zenzero grattugiato e qualche fogliolina di menta, da unire ad una crema composta da acqua di cottura, pepe e parmigiano. Provate i nostri gnocchi e vedrete che bontà! Questa settimana abbiamo aggiunto un ingrediente particolare ai nostri gnocchi… abbiamo sostituito la classica patata a pasta gialla, con quella viola!
Sentirete che specialità… =D
Per la pasta: 500 g di farina 1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva 2 cucchiai di vino bianco sale q.b
Per il ripieno: 300 g di castagne spellate miele 1 cucchiaio di cioccolato in polvere cannella 150 g di mandorle sgusciate 40 g di cedro candito Buccia grattugiata di 1 arancia caffè macinato 1 bicchierino di rum zucchero a velo.
Disponete la farina a fontana su un piano di lavoro. nel foro centrale mettete l’olio, il vino e un pizzico di sale. Impastare fino a quando non avrete una pasta elastica. Copritela con la pellicola alimentare e lasciatela riposare.
Preparazione ripieno: Bollite le castagne e frullatele nel mixer, in modo da ottenere una purea. Fate tostare le mandorle in forno a 200°, quando saranno pronte, tritatele finemente. In una terrina mettete le mandorle tritate, aggiungete la purea di castagne, il cioccolato, il miele, la cannella, il cedro tagliato a pezzettini, la scorza grattugiata d’arancia, il bicchierino di rum ed il caffè macinato. Amalgamate il tutto per ottenere un composto omogeneo, che lascerete riposare in un luogo fresco per 2 ore.
Passate le due ore stendete la pasta molto sottile e ricavatene con un bicchiere dei dischi di 8 cm di diametro. Mettete su ciascuno un po’ di ripieno e richiudere la sfoglia su se’stessa come i ravioli. Chiudete beni i bordi aiutandovi con una forchetta. Friggeteli in olio caldo, scolateli dall’olio in eccesso e lasciateli raffreddare. Serviteli con zucchero a velo.
Sia i ristoranti che i consumatori sembra si siano stancati della parola “biologico“, in gran parte perché la parola è stata usata eccessivamente e si è molto ridotta rispetto al suo significato che rimane, tuttavia, un simbolo di un’alimentazione sana e desiderabile. Ma non basta parlare di biologico per fare affermazioni etiche nei menu dei ristoranti, oltre ad affermarlo lo si deve praticare davvero. Produrre ortaggi in un orto biologico è alla portata di tutti, ma garantire per gli ingredienti utilizzati per preparare i piatti del ristorante è un’altra cosa. Quando si producono direttamente i propri ingredienti però, è tutta un’altra cosa. In questo caso si ha la garanzia di genuinità.
Vegetariano
Ascoltiamo molto le opinioni dei nostri clienti, e sempre più di voi stanno mostrando interesse per stili di vita sia biologici ma anche vegetariano, senza glutine, e non solo. Siete in molti ad aderire a questi modelli alimentari, sia spinti da considerazioni ideologiche, di necessità, o soltanto perché ritenete che sono diete particolarmente efficaci e salutari.
E se c’è qualcosa che possiamo fare per migliorare la qualità del nostro cibo, lo facciamo e nessun costo è proibitivo.
Con questo presupposto abbiamo inserito moltissime pietanze vegetariane, senza glutine, alcune anche senza lattosio e vegane. Antipasti, primi, secondi
Senza Glutine
, piatti unici e anche i dolci! Produciamo direttamente gli ingredienti che utilizziamo, dal grano usato per la pasta e la pizza, le uova, gli ortaggi, i nostri allevamenti. Quello che non produciamo lo riceviamo dalle fattorie del posto. Abbiamo fondato con loro una rete di fattorie, le “Green Farms”. Facendo abbiamo così una garanzia senza precedenti sulla provenienza e la genuinità di tutto quello che mettiamo sulla nostra tavola. Stiamo anche lavorando per aumentare la disponibilità di farine, come quella di grano saraceno, di ceci, integrale.
Con il nuovo menùvogliamo continuare ad offrire cibo genuino e salutare, abbiamo rielaborato le ricette dei nostri
Vegano
piatti e siamo arrivati a preparare 18 portate senza glutine, di cui 11 senza lattosio e 8 totalmente vegetariane mantenendo invariata la nostra abitudine ad utilizzare solo ingredienti freschi.
Vi spieghiamo anche come le prepariamo! Scorrendo il menù, potrete leggere le ricette che utilizziamo per preparare i nostri piatti.
Nel nuovo menù, disponibile anche online, sarà facile capire quali pietanze fanno al caso vostro, potrete affidarvi ad alcuni semplici simboli di riconoscimento da seguire.
Il miele è un prodotto alimentare antinfiammatorio così saporito quanto sano.
Secondo l’ultimo studio del 2016 della Commissione sull’attuazione dei programmi a sostegno dell’apicultura, l’Europa è il secondo produttore al mondo di miele e in Italia vengono prodotti 23.000 delle 250.000 tonnellate di miele che si producono in tutta l’UE.
Noi, con le nostre 90 arnie (circa) contribuiamo a produrre circa 1500 Kg di miele all’anno.
Se in termini percentuali aumenta il numero delle colonie di api, diminuisce invece (-4%) quello degli allevatori. In particolare la Commissione Ue rileva tra gli elementi critici il peggioramento delle condizioni di produzione, l’aumento dei costi di produzione e la crescita delle importazioni di miele a basso costo dai paesi terzi creano una situazione di sempre maggiore concorrenza. Rispetto agli altri Paesi europei il consumo di miele in Italia è comunque molto basso, se si considera che la media europea è intorno ai 700 grammi e i tedeschi e i greci consumano ogni anno oltre un chilo di miele. Fuori dall’europa, questo dolce nettare è l’esportazione più importante di diversi paesi come ad esempio Cuba, davanti a zucchero e caffè, secondo l’ONU. A Cuba, il miele è apprezzato per il suo valore culinario, medicinale e spirituale. Quando ordinate il caffè qui all’Avana, il miele viene spesso presentato insieme allo zucchero. Questa pratica risale alla lotta per l’indipendenza del 1860, quando la produzione di zucchero è stata ridotta, e il popolo cubano ha da tempo riconosciuto i benefici per la salute del miele rispetto allo zucchero.
Sempre secondo il rapporto, nel nostro paese è stato rilevato un aumento nell’importazione del miele prima dalla Romania (che ne produce 34.999 tonnellate) e poi dalla cina (primo produttore mondiale di miele).
Tali importazioni stanno generando un divario di mercato per via dei prezzi più bassi rispetto al miele prodotto in Italia.
In generale il prezzo del miele è in forte ascesa dal 2001 ed è raddoppiato nel corso degli ultimi 7 anni (come viene rilevato da questo rapporto della UNA_API del 2014). Sembra che anche questo fattore, unitamente all’aumento della domanda interna, stia agevolando l’importazione da altri paesi. A causa della diversa regolamentazione sulla tracciabilità e sulla valutazione qualitativa dei paesi esteri di produzione (a volte inestistente) la stessa qualità del miele prodotto all’estero viene costantemente messa in discussione.
La qualità del miele
A fare la qualità del miele concorrono numerosi aspetti ed i primi elementi di qualità sono la genuinità e la salubrità del prodotto. Secondo la legge Italiana, è considerato miele solo il prodotto che sia fatto dalle api a partire da nettare o da melata: non esistono, in altre parole, mieli “artificiali” o fatti con lo zucchero; prodotti del genere non possono essere legalmente commercializzati. Niente conservanti, quindi, non ce ne sarebbe bisogno, ma neanche coloranti o aromatizzanti: l’aroma e il colore del miele sono quelli che gli derivano dalle piante bottinate dalle api. Tra i prodotti alimentari il miele è anche uno di quelli che può dare maggiori garanzie riguardo alla presenza di eventuali residui di sostanze estranee: anche in questo caso è la legislazione, con norme restrittive, a fare da guardiana alla salute pubblica, ma è la sua stessa natura ad assicurare la necessaria salubrità.
Un tema diverso invece è quello che riguarda “le miscele” di miele che sono un mix di diverse tipologie di miele che servirebbero, tra le altre cose, a mantenere il miele in forma liquida.
Come riconoscere mieli di qualità
Un criterio di qualità, è la buona conservabilità del prodotto, che è collegata a un basso contenuto d’acqua. In questo caso è l’apicoltore, o comunque chi commercializza, a selezionare i mieli in modo da garantirne la qualità sotto questo punto di vista. La legge, in questo caso, è molto permissiva, ma è anche interesse del produttore non mettere in commercio prodotti che rischiano di fermentare proprio per la presenza di acqua. I mieli fermentati si riconoscono facilmente già dall’aspetto schiumoso, con bolle di gas inglobate ed un’eventuale separazione tra la componente liquida e quella solida.
Separazione in fasi
Un sintomo di invecchiamento e di conservazione a temperatura eccessivamente elevata è la separazione di fasi, cioè l’evidenziazione di uno strato di miele liquido alla superficie del prodotto cristallizzato.
Il processo di cristallizzazione è un processo naturale ed avviene per diversi fattori. Il primo è il rapporto fra glucosio e acqua. Tutti i mieli sono costituiti da circa un 18% di acqua. In quest’acqua è disciolto il 70% circa di zuccheri monosaccaridi (fruttosio e glucosio) in percentuali a loro volta variabili. Si tratta quindi di una soluzione sovrassatura, ossia una soluzione nella quale la concentrazione del soluto (gli zuccheri) supera quella che il solvente (l’acqua) può contenere stabilmente, sicché il glucosio tenderà a separarsi dal solvente precipitando sottoforma di cristalli. Un secondo fattore che consente la cristallizzazione è il rapporto fra fruttosio e glucosio. Se il fruttosio predomina sul glucosio banalmente il miele tenderà a rallentare il processo di cristallizzazione restando a lungo liquido (si pensi al caso dell’acacia o del castagno). Al contrario, mieli nei quali la percentuale di glucosio è più alta (ad esempio gli agrumi e molti millefiori primaverili, il trifoglio, il girasole, timo, santoreggia etc.) avranno rapidi fenomeni di cristallizzazione. Naturalmente l’innesco della cristallizzazione avviene già nel momento dell’estrazione a freddo del miele, che agitando i cristalli ne facilita lo sviluppo, ma possiamo anche dire che la cristallizzazione è accelerata dalle basse temperature.
Cosa fare quando il miele si è cristallizzato?
Si può certamente riscaldarlo, anche a bagno maria, o più semplicemente tenendolo per qualche minuto fra le mani e rimescolandolo con un cucchiaio, o ponendolo per pochi minuti a contatto con una fonte di calore come un termosifone. In alternativa basta metterlo in freezer quando è ancora liquido, per bloccare la precipitazione dei cristalli. Noi preferiamo consumarlo così come si presenta. Infatti, anche i prodotti che hanno subito dei trattamenti termici devono essere considerati impoveriti rispetto agli equivalenti non riscaldati. E’ meglio diffidare quindi dei prodotti che vengono presentati allo stato liquido in una stagione in cui sarebbe lecito immaginarli già cristallizzati, a meno che non si tratti di robinia (acacia), castagno o melata: con ogni probabilità sono stati rifusi. E’ bene ricordare che sia la fusione che la pastorizzazione non hanno alcuno scopo igienico-sanitario e danneggiano irreparabilmente il prodotto, distruggendone la carica enzimatica.
Il miele e le sue proprietà benefiche
Miele di acacia
Sin dai tempi antichi il miele è diventato il concetto di cibo come medicina. Per i Sumeri oltre 4.000 anni fa per il suo uso come unzione e medicina. Il miele contiene vitamina C, complesso vitaminico B e minerali chiave come ferro, calcio e magnesio.
Il miele è ricco di proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.
È stato dimostrato che il miele riduce l’infiammazione, ad esempio COX-2. Contiene molti potenti composti anti-infiammatori chiamati flavonoidi, come la quercitina. Il miele è un alimento base nella medicina tradizionale e è naturale. Tra le principali proprietà riconosciute al miele, ricordiamo: 1) Sedativo della tosse Secondo gli studi effettuati da parte degli esperti della Tel Aviv University, il miele può essere considerato come un sostituto dei comuni sciroppi per la tosse e somministrato la sera prima di coricarsi nella dose di un cucchiaino, come se si trattasse di un vero e proprio farmaco. I medici hanno potuto rendersi conto nel corso di una simile sperimentazione di come esso possa essere realmente efficace nel sedare la tosse, senza bisogno di ricorrere ad altri medicinali. 2) Proprietà antibiotiche Le proprietà antibiotiche del proprietà antibiotiche del miele applicato sulla pelle per uso topico erano ben conosciute da parte della medicina naturale tradizionale, ma furono presto dimenticate da molti con l’arrivo della penicillina e di pomate farmaceutiche per la cura di ustioni ed abrasioni. Secondo uno studio effettuato in Nuova Zelanda, il miele, con particolare riferimento alla varietà “Manuka”, conterrebbe una quantità di perossido di idrogeno che ne renderebbe benefica l’applicazione come antibiotico e disinfettante su piccole lesioni della pelle. 3) Proprietà antinfiammatorie Tra le proprie numerose caratteristiche ritenute benefiche per la salute, il miele presenta inoltre delle proprietà antinfiammatorie che rendono la sua applicazione adatta in caso di punture di insetti, con particolare riferimento alle punture di zanzara. Le proprietà antinfiammatorie del miele permetterebbero infatti di alleviare il prurito ed il rossore provocato dal contatto degli insetti con la nostra pelle. 4) Contenuto di antiossidanti Il miele è considerato come un alimento funzionale ricco di polifenoli, degli antiossidanti naturali che possono aiutare il nostro organismo nella prevenzione di numerose malattie e nel rallentare i processi di invecchiamento che lo coinvolgono con il trascorrere del tempo. Il miele è ritenuto in grado di proteggere l’organismo umano dall’azione svolta dai radicali liberi e di giovare inoltre alla salute del cuore. Bisogna tuttavia tenere conto di come alcuni pediatri preferiscano vietare che venga somministrato miele ai bambini di età inferiore ad un anno per i pericoli legati alle infezioni della tossina botulinica.
In sintesi, il miele merita di entrare tutti i giorni nelle nostre tavole ma è importante assicurarsi che sia di buona qualità.
Per “orto biologico” si intende proprio un insieme di ortaggi coltivati senza uso di concimi chimici o diserbanti. Affinché un orto possa definirsi tale non basta, coltivare le verdure evitando di aggiungere diserbanti, ma è anche necessario che tutte le fasi colturali siano realizzate con metodi “biologici”. Le piante dell’orto biologico devono nascere ed essere messe a dimora, concimate, rinvasate e diserbate ricorrendo a metodi naturali o a tecniche manuali. Le nostre piante orticole prevedono, infatti, sin dalla germinazione del seme (proveniente da processi biologici e biodinamici) un naturale processo di crescita biologico. I concimi dovranno, quindi, comprendere esclusivamente fertilizzanti organici, come stallatico maturo, compost, torba, pollina e simili, mentre la lotta a parassiti e piante infestanti dovrà essere fatta ricorrendo a sostanze esistenti in natura o alla rimozione manuale. Gli insetti ed i parassiti vegetali vanno combattuti esclusivamente con sostanze a base di rame e zolfo (e con le giuste dosi), composti chimici già esistenti in natura. Nella maggior parte dei casi, però, la coltivazione di un orto biologico va fatta escludendo qualsiasi sostanza chimica.
Le regole di un buon orto “bio”
Oggi si fa un gran parlare di orto biologico, di “verdure fai da te a chilometro zero”. Ma cosa rende un orto veramente biologico? – Utilizzare soltanto concimi biologici come letame, torba, compost. – Selezionare esclusivamente semi e piantine naturali (per intendersi, evitare tutti quelli che nella confezione o nella bustina recano la scritta “Ibrido” – Utilizzare la tecnica della “rotazione degli ortaggi”, che differenziando ogni stagione il tipo di coltura su un determinato spazio, consente sia l’arricchimento naturale del terreno con elementi differenti sia la non proliferazione di specifici parassiti – Proteggere il proprio orto, al di là dell’ampiezza, con apposite barriere naturali che impediscano l’accesso ad animali dannosi – Utilizzare insetticidi naturali a base di rame o zolfo – Divieto assoluto di erbicidi, pesticidi, fertilizzanti chimici
Suggerimenti Utili
Dopo aver acquistato le piantine biologiche… Ogni anno ha le sue stagioni e non sempre l’acquisto delle piantine e la relativa messa a dimora coincide con la stagione ideale per iniziare la coltivazione. Per evitare di compromettere il raccolto ti diamo 3 piccoli suggerimenti da seguire: Acquista subito le piantine Se è vero che bisogna sempre attendere la stagione giusta per avviare le coltivazioni, è anche vero che attendendo troppo si rischia di inoltrarsi troppo in stagione e di non raccogliere i frutti. Acquistando subito le piantine orticole potrai disporre di piante con una crescita adeguata e pronte ad essere messe a dimora. Fai però attenzione a proteggerle dal freddo e dalle intemperie. Proteggi le tue piantine Dopo aver acquistato le piante, puoi scegliere di metterle a dimora e proteggerle con una “mini serra a tunnel” oppure “mantenerle” in una semplice “serra da balcone” fino a quando non deciderai di trapiantare. In entrambi i casi potrai giovare della continuazione di crescita anche in periodi con meteo non ideale.
Fai però attenzione a tre fattori: a) la serra non deve mai superare i 25° di temperatura, quindi dovrai areare sempre durante le ore più calde b) se utilizzi una serra da balcone evita di disporla in un luogo eccessivamente assolato c) mantieni sempre un’umidità adeguata (50-80%) innaffiando regolarmente. La soluzione migliore è adottare una serra a tunnel (anche se fai da te) in modo da permettere un’areazione naturale tenendo aperti i due lati delle testate.
Il Trapianto.
La fase del trapianto è molto importante e viene spesso sottovalutata. Le piantine sono già “acclimatate” ma potrebbero subire uno stress sia per effetto di cambi repentini delle temperature ma anche per un errato trapianto nel terreno. Per mettere a dimora la piantina assicurati di:
a) porre il terreno fino a 1 cm al disopra il colletto della pianta
b) crea una zona di raccolta d’acqua intorno al colletto in modo da mantenere la zona alla base della pianta sempre umida . Ti suggeriamo inoltre di valutare sistemi di pacciamatura per evitare la crescita di erbe infestanti ricorrendo, ad esempio, all’uso della pacciamatura con la paglia.
Con l’aiuto di un mattarello Stendete un cerchio di pasta frolla sulla spianatoia infarinata e rivestite uno stampo per crostate da 24 centimetri di diametro, togliere la pasta in eccesso che userete poi per le strisce.
Bucherellate con una forchetta la base di pasta frolla, versate metà della confettura di albicocche poi la ricotta e nuovamente la confettura.
Ricoprire con le strisce messe da parte e infornate a 180° per 30/40 minuti circa.
A cottura ultimata tirate fuori dal forno e lasciate raffreddare prima di toglierla dallo stampo.
Ingredienti per la base: 230 gr di Pasta sfoglia rettangolare 150 gr di Zucchero 75 gr di Farina 00 75 gr di fecola di patate 5 uova 1 baccello di vaniglia 1 pizzico di sale Per la crema diplomatica 250 ml Latte intero 180 ml di Panna fresca 75 gr di Zucchero 25 gr di farina 00 20 gr di Zucchero a velo 3 Tuorli 1/2 Baccello di vaniglia Per la Bagna: 200 ml Acqua 100 gr di Zucchero 20 ml Rum
Iniziamo preparando il Pan di spagna: Dividete gli albumi dai tuorli e sbattere questi ultimi con metà dello zucchero per ottenere un composto spumoso e gonfio. Sbattete a parte gli albumi, aggiungete lo zucchero rimasto e unite gli albumi ai tuorli sbattuti precedentemente. Aggiungete la farina, i semi di una bacca di vaniglia e la fecola di patate setacciate insieme. Imburrate e infarinate uno stampo rettangolare delle dimensioni di 26X20 e versate l’impasto nello stampo. Infornate a 180° per 35/40 minuti. Estraete lo stampo dal forno e fate raffreddare il pan di spagna. Per la crema diplomatica iniziate con la crema pasticcera: riscaldate il latte in un pentolino con la metà di una bacca e versate il latte riscaldato sul composto a filo, amalgamando con la frusta. Riportate il composto sul fuoco e mescolate continuamente fino a che la crema non si sarà addensata. Trasferite la crema pasticcera in una ciotola e fatela raffreddare, conservandola con un foglio di pellicola a contatto. Passate alla crema Chantilly: Versate la panna, ben fredda, in una planetaria e montatela, quando la panna avrà raggiunto una consistenza corposa, aggiungete lo zucchero a velo setacciato e amalgamatelo alla panna, mescolando con una spatola. Quando la crema pasticcera sarà completamente fredda, unite la crema chantilly e stemperate le due creme con una frusta, fino ad ottenere una massa spumosa, liscia e omogenea. Ora dedicatevi agli strati di sfoglia: Stendete con un mattarello la pasta sfoglia già pronta e ricavate due rettangoli delle dimensioni poco più piccole di quelle del pan di spagna. Trasferite i due rettangoli su una leccarda ricoperta di carta forno e bucatele con i rebbi di una forchetta. Cospargete di zucchero a velo e passatele al forno statico a 180° per 12/13 minuti. Preparate ora la bagna: Mettete l’acqua e lo zucchero in un pentolino e fate sciogliere bene il tutto, quando avrete ottenuto uno sciroppo denso, spegnete il fuoco e aggiungete il rum. Potete ora comporre la torta diplomatica: ponete su un piatto da portata una delle due sfoglie e cospargetela con la crema diplomatica. Prendete ora lo strato di Pan di spagna e adagiatelo sulla crema per formare il secondo strato, bagnate abbondantemente il Pan di spagna con la bagna al rum, quindi cospargetelo con uno strato di crema diplomatica. Terminate ora con l’ultimo strato di sfoglia, cospargete abbondante zucchero a velo ed ecco pronta la vostra torta diplomatica.
Ingredienti:
200 gr di biscotti secchi
70 gr di burro
50 gr di zucchero Per il Ripieno:
500 gr di ricotta
125 gr di mascarpone
130 gr di zucchero
100 gr di cioccolato fondente
100 gr di cioccolato gianduia
100 gr di cioccolato bianco
Frullate i biscotti secchi con lo zucchero, unite il burro fuso e amalgamate. Rivestite il fondo di stampini monouso con un disco di carta forno, distribuite il composto di biscotti e pressate bene fino ad ottenere uno strato di circa 1/2 cm. In una ciotola lavorate il mascarpone e la ricotta con lo zucchero. Dividetelo in tre parti uguali e a ciascuna unite un tipo di cioccolato differente, finemente tritato. Con l’aiuto di un sac à poche distribuite le tre farce negli stampini, alternandole. Trasferite in frigo e fate riposare per almeno mezz’ora. Trascorso il tempo di riposo, sformate i tortini, guarnendoli con scaglie di cioccolato.
All’interno dell’agriturismo sono riservati degli alloggi con posti letto per gli ospiti. Sono spaziosi e dotati di tutte le comodità. Sono posti al pianterreno. Hanno una spaziosa veranda esterna con una bellissima vista sulla campagna e i monti circostanti.
Tutti gli alloggi sono costruiti in legno e sono antisismici al 100%. Alcuni chalet hanno l’aria condizionata.
Gli ospiti possono scegliere tra:
solo pernottamento
mezza pensione
pensione completa
pernottamento e prima colazione.
Il nostro agriturismo in abruzzo è un ottimo B&B in natura
Gli alloggi sono autonomi (Acqua, riscaldamento). Anche l’ingresso è autonomo. Ottima logistica come agriturismo Ovindoli, Agriturismo Campo Felice, agriturismo Tagliacozzo.
La cucina offre menù biologici alla carte e degustazioni di carne, con una particolare attenzione alle tradizioni, ai prodotti freschi di nostra produzione e alle stagioni.
Sapore locale Abruzzese con ricette tradizionali e prodotti locali!
L’Agriturismo il Timo è circondato dal verde. Ha un bellissimo giardino con arredi raffinati , amache, un orto molto grande e piante da frutta.
C’è il vivaio, area giochi per bambini e una suggestiva Piscina con vista montagna circondata dal verde. Serviamo aperitivi e aperitivi cenati a bordo piscina.
Ci sono gli animali della nostra fattoria che possono essere visitati dai bambini.
Siamo uno dei pochi agriturismi in Abruzzo con piscina situati in montagna.
L’Agriturismo è immerso nel verde in una natura superba protetta a pochi passi da una continuità di PARCHI.
Parco Nazionale D’Abruzzo
Parco Nazionale del Gran Sasso
Parco nazionale della Maiella
Parco dei Monti della Laga
OASI DEL WWF
Si trova all’interno della Riserva orientata naturale del Monte Velino. È area naturale protetta della Regione Abruzzo istituita nel 1987. Occupa una superficie di 3.550,00 ha sul Monte Velino, nei territori di Magliano de’ Marsi e Massa d’Albe. Vicino alle piste da sci.