Con il termine “spezie” si indicano alcune sostanze (o miscele di sostanze) ricavate da semi, frutti, gemme, cortecce o radici di piante esotiche, perlopiù provenienti dall’Oriente, dai sapori assai forti e, in molti casi, addirittura piccanti. In commercio si trovano, nella maggior parte dei casi, essiccate e macinate e, se conservate in contenitori ermetici, al riparo dalla luce, sono in grado di mantenere i loro aromi anche per un intero anno.
Molto utilizzate anche in occidente nel periodo delle grandi scoperte geografiche, soprattutto delle classi più abbienti che, offrendole nei loro banchetti, ostentavano la propria ricchezza dimostrando di potersele permettere (erano infatti molto costose), le spezie hanno conosciuto, nella nostra cucina, un lungo periodo di quasi assenza per tonare “di moda” negli ultimi anni grazie all’avvicinamento di nuove tradizioni e di una mescolanza etnica sempre più varia che ha introdotto, anche in Europa, pietanze e sapori appartenenti ad altri Paesi.
Il loro pregio, sia nel passato che nel presente, è legato, oltre al piacere che possono conferire al palato, anche alle loro virtù curative che da sempre sono state sfruttate in campo erboristico. Pare, infatti, che molte di queste sostanze sono utili nella cura di numerosi disturbi dell’apparato digestivo e riescano, quindi, a conferire maggiore digeribilità anche ai piatti nei quali vengono impiegati.
Molte di queste sostanze hanno anche altri usi, non solo utilizzate nel campo erboristico, ma anche per la preservazione del cibo, in rituali religiosi, cosmesi o profumeria. Ad esempio, la curcuma è usata anche nell’ayurveda; la liquirizia ha proprietà officinali; l’aglio viene usato come vegetale nella cucina.
Una delle spezie che utilizziamo maggiormente nei piatti della nostra cucina è lo zafferano, una spezia che viene prodotta a Rosciolo di Magliano, da un nostro compaesano e amico Riccardo Federici, che con la sua omonima azienda agricola partecipa alla rete di imprese agricole “Green Farms” di cui siamo membri. I suoi prodotti “Zafferano Bio in stimmi di Avezzano e Magliano dè Marsi” sono di qualità eccellente e genuina.
Lo zafferano è una pianta di origine orientale, della famiglia delle Iridaceae, coltivata in Asia minore e in molti paesi del bacino del Mediterraneo. In Italia le colture più estese si trovano nelle Marche, in Abruzzo (lo zafferano dell’Aquila è conosciuto nel mondo intero con la sua produzione nell’Altopiano di Navelli) e in Sardegna. Dallo stimma trifido si ricava la spezia denominata “zafferano”, utilizzata in cucina e in alcuni preparati medicinali. Il fiore color violetto fiorisce per un breve periodo di due settimane in autunno. Ogni fiore ha solo tre stimmi gialli che devono essere colti manualmente all’alba, prima che il sole sia troppo alto. I fiori generalmente si scartano, oppure vengono fatti essiccare e utilizzati come decorazione per i piatti (proprio come facciamo noi), mentre gli stimmi vengono essiccati. In questo processo si perde l’80% del peso, ma l’intensità del sapore (leggermente amarognolo) ci guadagna molto. Sono necessari circa 200.000 fiori per ottenere un kg di stimmi di zafferano. Si trova in commercio macinato o in stimmi interi. È consigliabile utilizzare gli stimmi filiformi mettendone a bagno un pizzico in acqua tiepida per sviluppare colore e aroma, prima di aggiungerli alle vivande della fase terminale di cottura. Va conservato in recipienti a chiusura ermetica e lontano dalla luce.
Lo zafferano si unisce bene con il riso (quello alla milanese è un classico, o la paella alla valenciana), zuppe di pesce, salse, budini e dolci di riso di origine orientale e, in genere, per colorare impasti, ripieni e salse.
Nel menù di questa settimana ci saranno alcuni piatti con protagonista proprio lo zafferano, piatti che presenteremo per la serata del 14 febbraio in occasione di San Valentino, ma che proponiamo durante tutto l’anno in diverse pietanze. Come potevamo farci scappare l’occasione di aggiungere ai nostri piatti un tocco di colore, genuinità e sapore unico? Tra questi piatti abbiamo i tonnarelli con speck e zafferano, e la faraona allo zafferano.
Oggi vi regalerò la nostra ricetta dei tonnarelli con speck e zafferano.
Sciogliete il burro a bagnomaria, grattugiate la buccia di 1 arancia, sbucciate poi tutte e due le arance e tagliatele a pezzetti.Tritate grossolanamente metà delle noci e mettetele da parte.
Riprendete il burro fuso, aggiungete 200 gr di zucchero, le uova e lavorate con una frusta energicamente; aggiungete la farina, la scorza grattugiata dell’arancia, un pizzico di sale, il lievito e amalgamate per bene. Unite i gherigli di noce tritati, i pezzetti di arancia e mescolate.
Versate l’impasto nello stampo, precedentemente imburrato e infarinato, distribuite poi sulla superficie i gherigli di noci interi.
Cuocete a 180° per circa 45 minuti, sfornate e servite con abbondante zucchero a velo.
Nella cultura popolare le zuppe rappresentano un primo piatto “povero” della tradizione contadina. La storia di questa preparazione risale addirittura ai primordi della gastronomia, quando, insieme a rudimentali focacce preparate con grano macinato e acqua, gli uomini si cibavano di elementari zuppe a base di legumi ed acqua, e solo in alcuni casi fortunati, di carne.
Con il tempo, con le mutate e migliorate condizioni economiche le zuppe si sono via via arricchite di ingredienti più sostanziosi e raffinati. Questo è avvenuto anche grazie alla recente rivalutazione dei cosiddetti “cibi poveri”, che oggi risultano recuperati e proposti in diverse occasioni, che possono essere semplici pranzi di famiglia o possiamo ritrovarle non solo in agriturismi, come da noi, ma anche nelle tavole dei ristoranti più eleganti.
A testimonianza della popolarità e della vitalità di queste pietanze, compaiono, nella tradizione gastronomica italiana, una serie innumerevole di ricette di minestre, zuppe e creme preparate con ingredienti diversi (dalla carne al pesce, dalle verdure ai formaggi), dando vita a piatti straordinari, in molti casi semplici e genuini, in altri casi elaborati e raffinati, ma che si rifanno tutti all’antica cucina popolare, nel pieno rispetto delle varie tradizioni regionali o rivisitandole in chiave moderna. Alternativa ai primi piatti di pasta o riso, le minestre e le zuppe si prestano a tutte le occasioni, come abbiamo già anticipato, dai pranzi di famiglia informali alle cene più eleganti. Nel primo caso si tratta in genere di preparazioni rustiche, a base di ortaggi e legumi, come la classica Pasta e fagioli o i Gnocchetti con i ceci, mentre nei menu più ricercati compaiono solitamente consommé, creme e vellutate o anche raffinate zuppe a base di pesce. Contrariamente a quanto si pensa, le zuppe e le minestre si prestano anche ai pranzi estivi, con preparazioni che si servono fredde, come il Gazpacho o la Zuppa fredda di verdure crude. Di regola, le zuppe o le minestre, all’interno di un pranzo, vanno servite dopo l’antipasto e seguite da un secondo piatto, ma alcune preparazioni invece, per la ricchezza e il conseguente rapporto nutrizionale, costituiscono un piatto unico, come ad esempio le zuppe con base di carne di maiale, o di pesce, che da sole rendono già completo un pasto. Il termine zuppa sembra derivare dalla parola gotica “suppa”, che significa “fetta di pane inzuppata”. Durante il medioevo infatti, la fetta di pane non serviva come accompagnamento per gli altri cibi, ma veniva utilizzata come piatto su cui poggiare le varie pietanze. Le fette poi così insaporite, venivano cotte in acqua o in brodo per il pranzo della servitù. La zuppa di oggi ha mantenuto le sue origini, ed è infatti accompagnata da fette di pane generalmente tostate (che siano crostini o bruschette), poste accanto o alla base della zuppa stessa, e, a seconda della ricetta, si possono utilizzare, per esempio, un pane integrale, di segale o come nel nostro caso,il pane di solina, dando alla ricetta un sapore ancor più genuino e rustico. Preparare una zuppa non è così complicato, l’unica cosa che in realtà rende complicata questa preparazione sono i tempi e i modi di cottura. Generalmente queste pietanze vengono cotte in casseruole alte, l’importante è che siano di rame o acciaio inox, o meglio ancora in recipienti di terracotta, che assorbendo e rilasciando il calore molto lentamente ben si prestano alle cotture lunghe, soprattutto nel caso delle zuppe di legumi. Una delle nostre zuppe più ricercate è quella di lenticchie (di nostra produzione), semplice, genuina, rustica e veloce. Ogni volta cerchiamo di renderla unica e diversa da quelle precedenti aggiungendo e arricchendola di nuovi elementi. Di seguito vi riporto la ricetta completa della nostra zuppa base di lenticchie, alla quale potrete aggiungere qualsiasi ingrediente voi desideriate! Ingredienti per 4 persone: -100 grammi di lenticchie rosse -200 grammi di pomodori maturi -una carota media -una cipolla -una costa di sedano -due cucchiai di olio extravergine d’oliva -uno spicchio d’aglio -qualche fogliolina di timo, rosmarino e maggiorana -una foglia di alloro -sale e pepe
Procedimento: Mettete in ammollo le lenticchie in acqua tiepida per almeno 8 ore. Sgocciolatele e sciacquatele, mettetele in una pentola con un litro e mezzo di acqua e cuocetele per un’ora circa. Nel frattempo, fate soffriggere nell’olio, in una casseruola a parte, tutti gli odori e le erbe aromatiche, e aggiungete i pomodori tagliati a pezzi. Una volta pronto il soffritto con i pomodori aggiungete le lenticchie, scolate dalla bollitura, un litro di brodo vegetale, regolate di sale, pepate e proseguite la cottura per circa 30 minuti. Preparate nel frattempo delle fette di pane, tagliatele a cubetti, accendete il forno a 250°, distribuite i cubetti di
pane su una teglia e infornate per circa 10 minuti, giusto il tempo che si dorino per bene i crostini. Una volta pronta la zuppa, servitela ben calda con una sbriciolata di crostini sopra e un filo d’olio, e il gioco è fatto!
Un consiglio… Se volete rendere il vostro piatto più appetitoso, nella prima fase di soffritto degli odori, aggiungete un pezzo di lardo o di pancetta, oppure aggiungete una sbriciolata di salsiccia e sentirete che bontà!
Disporre la farina a fontana sulla spianatoia, versare al centro lo zucchero, le uova, l’olio, il bicchierino di anice, la buccia di limone e il lievito.
Impastare fino a formare un panetto morbido.
A questo punto formate delle palline di circa 12 gr l’una e friggetele in abbondante olio di semi.
6 uova 200 gr di zucchero 150 gr di semolino 200 gr di mandorle tritate 1 limone non trattato 2 cucchiai di liquore tipo Amaretto di Saronno 150 gr di cioccolato fondente 30 gr di burro
Lavorate i tuorli con lo zucchero fino a ottenere un composto spumoso e successivamente unire le mandorle, il semolino, la buccia grattugiata del limone e il liquore.
Montate gli albumi a neve ed incorporateli delicatamente al composto.
Imburrate e infarinate uno stampo a cupola, tipico del parrozzo e cuocete in forno caldo a 160° per circa 50 minuti.
A cottura ultimata lasciate raffreddare il dolce e nel frattempo preparate la glassa: in un pentolino fate sciogliere il cioccolato tritato insieme al burro, poi stendere la glassa dal centro del parrozzo fino a ricoprire l’intera superficie del dolce.
Caratterizzata da una grande versatilità, la polenta si associa ai sapori più diversi, dando luogo a una ricca serie di preparazioni, legate soprattutto alla tradizione gastronomica dell’Italia settentrionale. È infatti un antichissimo piatto di origine italiana a base di farina di cereali e pur essendo conosciuto nelle sue diverse varianti pressoché sull’intero suolo italiano, ha costituito, in passato, l’alimento di base della dieta delle persone in alcune zone settentrionali alpine, prealpine, pianeggianti e appenniniche, apprezzata molto anche al centro e al sud Italia.
La polenta dà vita più che a un primo piatto a un piatto unico, essendo servita per lo più in accompagnamento a stufati, brasati o sughi di carne oppure a ricche preparazioni di uova e formaggi o intingoli vari con verdure o anche pesce.
La polenta si prepara tradizionalmente con farina di mais e/o di grano saraceno. Per un sapore più particolare si posso realizzare originali piatti a base di polenta con altri tipi di farina, come ad esempio quelle di ceci e di castagne.
La farina utilizzata più comunemente, è quella di mais, detta anche di granturco o farina gialla. A seconda del tipo di macinatura, la farina può essere a grana grossa macinata a pietra (sbramata o bergamasca) e a grana fine (fioretto). Noi utilizziamo la farina di mais, di nostra produzione, a grana grossa, macinata a pietra in un mulino vicino al nostro agriturismo. Questo tipo di farina ci permette di preparare una polenta soda e consistente, e richiede una cottura prolungata.
Per realizzare una buona polenta, occorre rispettare alcuni semplici regole. La prima fra tutte riguarda la dose di acqua e farina da utilizzare: solitamente la proporzione è di 1,5 l d’acqua ogni 400 gr di farina circa, dipende dalla grana della farina, più è grossa maggiore quantità di acqua richiederà, più è fine minore quantità di acqua occorrerà. Nel caso in cui ci si rende conto che la quantità di acqua è insufficiente durante la mescolatura si piò aggiungere dell’acqua calda e proseguire con la mescolatura.
Il procedimento è semplice, infatti una volta calcolata la giusta quantità di acqua, la si porta ad ebollizione nel paiolo, e si aggiunge il sale (10 gr per ogni litro di acqua). A questo punto si fa cadere la farina nell’acqua a pioggia, abbastanza rapidamente per non far abbassare bruscamente la temperatura dell’acqua in ebollizione, e mescolando velocemente con l’apposito legno, un cucchiaio di legno o una frusta per evitare la formazione di grumi. Una volta incorporata la farina all’acqua, bisogna proseguire la cottura mescolando con energia con un movimento rotatorio continuo, fino a fine cottura. La cottura della polenta deve avvenire per i primi 30 minuti circa a fuoco vivo, di modo che sulle pareti e nel fondo del paiolo si formi una crosticina da cui la polenta dovrà staccarsi facilmente. Quando la polenta inizia a staccarsi dalle pareti la cottura dovrà proseguire per circa 40 minuti a fuoco lento. Questo tempo non varia per la quantità di polenta ma varia per il tipo di farina utilizzato, se a grana grossa il tempo viene portato a un’ora e 45 minuti, per quella a grana fine invece scenderà a un’ora di cottura totale. È importante ricordare che al termine della cottura non bisogna mai aggiungere il sale, in quanto la farina di mais è di per sé dolce e di conseguenza il sale non verrebbe assorbito in maniera uniforme. Una volta cotta la polenta va impiattata, nel più classico dei modi sul tagliere di legno apposito, oppure come noi, la serviamo in dei piatti allungati monoporzionati con il classico sugo con salsicce e spuntature, che troverete anche questa settimana nel nostro menù, ma ogni tanto ci piace servirla con condimenti particolari come funghi champignon e porcini e primo sale, oppure speck e provola. Ma si può condirla come meglio si preferisce, con sugosi spezzatini di carne, sfiziosi funghi trifolati o cremosi formaggi per creare pietanze robuste e appetitose come la polenta con salsiccia e formaggio o gustosi piatti di recupero come il timballo di polenta e cotechino!
Un consiglio…
Una volta preparata, la polenta può essere conservata in frigo per un paio di giorni, purché lasciata prima raffreddare a temperatura ambiente e poi avvolta in una pellicola e messa in un contenitore. Così conservata, può essere poi tagliata a fette e fritta in padella in abbondante olio ben caldo, o abbrustolita sulla brace o su una padella grigliante e utilizzata come fosse un crostone o una bruschetta, oppure tagliata a fette e messa su di una teglia, condita a piacere e infornata per circa venticinque minuti in forno caldo a 180°! Accompagnate la polenta con ciò che più vi piace, carni, verdure, pesce, l’importante è che ci sia abbondante sugo cremoso nel quale intingere la vostra polenta.
In una terrina versare lo zucchero, il vino, l’olio e per ultimo il lievito e la farina poco per volta. Amalgamiamo fino ad ottenere un impasto lavorabile.
Disponiamo il panetto sulla spianatoia infarinata e lavoriamo ancora un pò, poi formiamo dei bastoncini di pasta e creiamo le nostre ciambelline.
Passiamole nello zucchero semolato e posizioniamo le ciambelline al vino su una teglia foderata da carta forno.
Cuociamo a 180° per 20/30 minuti circa, regolatevi secondo la doratura.
I più noti e classici sono quelli di patate, ma in realtà i tipi di gnocchi presenti nella tradizione gastronomica italiana sono tanti e si diversificano, sia per gli ingredienti utilizzati, sia per la modalità di preparazione dell’impasto. Si tratta di un antico piatto di origine popolare, semplice e sostanzioso, composto da ingredienti “poveri”. Con il termine “gnocchi” si indicano pezzetti di pasta a forma tondeggiante preparati con patate cotte impastate con la farina, oppure preparati con altri ingredienti, come il semolino, il pane, poi ci sono gli gnocchi soffiati, quelli di ricotta e spinaci, di zucca, ecc. Quelli più conosciuti sono quelli di patate, e pur avendo in Piemonte e nel Veneto i due maggiori centri di diffusione, gli gnocchi di patate sono molto popolari e consumati in tutta Italia. Si possono condire in mille modi, dai ragù di carne o di pesce a varie combinazioni di verdure, dalla salsa di pomodoro a salse a base di formaggio, oltre che semplicemente con burro e parmigiano. Prepararli in casa non è difficile, ma bisogna procedere nel modo corretto, seguendo alcune semplici regole, la prima delle quali riguarda la scelta delle patate più adatte. Le patate più indicate infatti sono quelle “farinose”, caratteristica tipica di alcune varietà di patate a pasta gialla e di quelle a pasta bianca. Sconsiglio vivamente l’utilizzo di patate novelle, perché essendo molto acquose assorbirebbero troppa farina, rendendo gli gnocchi gommosi.
Come farli Una volta scelte le patate giuste, bisogna lavarle accuratamente, metterle in una casseruola, coprirle con acqua fredda e lessarle poi a fuoco non forte per 20-30 minuti dall’inizio dell’ebollizione. Per capire se sono cotte con i lembi della forchetta basta pungerle e se non si sente resistenza fino al centro della patata allora saranno cotte. Dopo essere state sgocciolate dall’acqua di cottura, vanno sbucciate il prima possibile ed evitare che si raffreddino troppo per la lavorazione, che risulterebbe più difficile. Una volta sbucciate si passano allo schiacciapatate e si lascia intiepidire il passato di patate, si aggiunge poi la farina (250 gr ogni chilogrammo di patate) e un pizzico di sale.
Con le mani si lavora il composto velocemente, prima che il passato si raffreddi del tutto, fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. Se l’eccessiva umidità delle patate dovesse portare a sfaldare l’impasto durante la lavorazione si può aggiungere un uovo. Una volta ottenuto un impasto compatto e soffice se ne ricavano tanti cilindri di circa 1,5 cm di diametro, facendo rotolare piccole parti di impasto a una a una sulla spianatoia infarinata, li si taglia a pezzetti di 2-3 cm circa di lunghezza, ottenendo così gli gnocchi “lisci”. Per ottenere uno gnocco rigato, occorre premere con il pollice al centro di ogni pezzetto di pasta e passarlo sul “rigagnocchi”, oppure si possono utilizzare semplicemente i lembi di una forchetta inumiditi. Man mano che si preparano gli gnocchi vanno allineati su vassoi ben infarinati fino al momento della cottura.
Gli gnocchi vanno cotti in abbondante acqua salata in leggero bollore, e una volta che salgono a galla si sgocciolano con un mestolo trasferendoli nella pirofila, se vanno ripassati in forno, o nella padella se vanno saltati col condimento scelto. Noi utilizziamo solo ingredienti prodotti da noi stessi, le patate sono quelle che coltiviamo, la farina è quella che deriva dalle nostre coltivazioni di grano, poi macinata in un mulino qui vicino, e le uova sono delle nostre galline. Nel nostro menù gli gnocchi sono presenti giornalmente, nelle salse più classiche, ma ci divertiamo ogni tanto a combinare sapori diversi per rendere i nostri gnocchi particolarmente gustosi ed unici. Un piatto semplice e altrettanto delicato inserito da poco nel nostro menù, sono gli gnocchi conditi con una salsa di menta, zenzero e limone. Una salsa semplice da realizzare, briosa, fresca e sempreverde. Si uniscono degli elementi che donano al piatto freschezza e genuinità. Per la realizzazione della salsa basta preparare un mix di scorza di limone, zenzero grattugiato e qualche fogliolina di menta, da unire ad una crema composta da acqua di cottura, pepe e parmigiano. Provate i nostri gnocchi e vedrete che bontà! Questa settimana abbiamo aggiunto un ingrediente particolare ai nostri gnocchi… abbiamo sostituito la classica patata a pasta gialla, con quella viola!
Sentirete che specialità… =D
350 gr di farina 110 gr di burro 120 gr di zucchero 1/2 bustina di lievito per dolci 2 uova 320 gr di marmellata ai lamponi Az. Agricola Pietrangeli Timo fresco Zucchero a velo
In un robot lavorare a crema il burro con lo zucchero, aggiungere poi le uova, la farina, il lievito e il timo.
Azionare il robot formando così un impasto sbricioloso.
Imburrate e infarinate una tortiera a cerniera e sbriciolate metà dell’impasto sul fondo, versate poi sullo stesso la marmellata ai lamponi Azienda Agricola Pietrangeli e ricoprire con l’altra metà dell’impasto sbriciolato.
Infornare a 180° per circa 40 minuti.
Servite con un’abbondante spolverata di zucchero a velo.
Per la pasta: 500 g di farina 1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva 2 cucchiai di vino bianco sale q.b
Per il ripieno: 300 g di castagne spellate miele 1 cucchiaio di cioccolato in polvere cannella 150 g di mandorle sgusciate 40 g di cedro candito Buccia grattugiata di 1 arancia caffè macinato 1 bicchierino di rum zucchero a velo.
Disponete la farina a fontana su un piano di lavoro. nel foro centrale mettete l’olio, il vino e un pizzico di sale. Impastare fino a quando non avrete una pasta elastica. Copritela con la pellicola alimentare e lasciatela riposare.
Preparazione ripieno: Bollite le castagne e frullatele nel mixer, in modo da ottenere una purea. Fate tostare le mandorle in forno a 200°, quando saranno pronte, tritatele finemente. In una terrina mettete le mandorle tritate, aggiungete la purea di castagne, il cioccolato, il miele, la cannella, il cedro tagliato a pezzettini, la scorza grattugiata d’arancia, il bicchierino di rum ed il caffè macinato. Amalgamate il tutto per ottenere un composto omogeneo, che lascerete riposare in un luogo fresco per 2 ore.
Passate le due ore stendete la pasta molto sottile e ricavatene con un bicchiere dei dischi di 8 cm di diametro. Mettete su ciascuno un po’ di ripieno e richiudere la sfoglia su se’stessa come i ravioli. Chiudete beni i bordi aiutandovi con una forchetta. Friggeteli in olio caldo, scolateli dall’olio in eccesso e lasciateli raffreddare. Serviteli con zucchero a velo.
All’interno dell’agriturismo sono riservati degli alloggi con posti letto per gli ospiti. Sono spaziosi e dotati di tutte le comodità. Sono posti al pianterreno. Hanno una spaziosa veranda esterna con una bellissima vista sulla campagna e i monti circostanti.
Tutti gli alloggi sono costruiti in legno e sono antisismici al 100%. Alcuni chalet hanno l’aria condizionata.
Gli ospiti possono scegliere tra:
solo pernottamento
mezza pensione
pensione completa
pernottamento e prima colazione.
Il nostro agriturismo in abruzzo è un ottimo B&B in natura
Gli alloggi sono autonomi (Acqua, riscaldamento). Anche l’ingresso è autonomo. Ottima logistica come agriturismo Ovindoli, Agriturismo Campo Felice, agriturismo Tagliacozzo.
La cucina offre menù biologici alla carte e degustazioni di carne, con una particolare attenzione alle tradizioni, ai prodotti freschi di nostra produzione e alle stagioni.
Sapore locale Abruzzese con ricette tradizionali e prodotti locali!
L’Agriturismo il Timo è circondato dal verde. Ha un bellissimo giardino con arredi raffinati , amache, un orto molto grande e piante da frutta.
C’è il vivaio, area giochi per bambini e una suggestiva Piscina con vista montagna circondata dal verde. Serviamo aperitivi e aperitivi cenati a bordo piscina.
Ci sono gli animali della nostra fattoria che possono essere visitati dai bambini.
Siamo uno dei pochi agriturismi in Abruzzo con piscina situati in montagna.
L’Agriturismo è immerso nel verde in una natura superba protetta a pochi passi da una continuità di PARCHI.
Parco Nazionale D’Abruzzo
Parco Nazionale del Gran Sasso
Parco nazionale della Maiella
Parco dei Monti della Laga
OASI DEL WWF
Si trova all’interno della Riserva orientata naturale del Monte Velino. È area naturale protetta della Regione Abruzzo istituita nel 1987. Occupa una superficie di 3.550,00 ha sul Monte Velino, nei territori di Magliano de’ Marsi e Massa d’Albe. Vicino alle piste da sci.